[448] OBIETTIVO MONTEBELLO
Un bersaglio tra due fuochi

Ultimamente, a Montebello Vicentino, alcuni episodi di sfollamento hanno riportato alla luce una ferita mai del tutto rimarginata: il ritrovamento di bombe inesplose della Seconda Guerra Mondiale. Ordigni rimasti sepolti per ottant’anni riaffiorano oggi come spettri del passato, costringendo intere famiglie ad abbandonare temporaneamente le loro case.
Tutto ebbe inizio un martedì mattina, nel mezzo dell’estate del 1944. Il cielo azzurro d’agosto non mostrava nulla di strano e Montebello sembrava addormentato nella sua quiete. Nei giardinetti del ponte del “Marchese”, qualche anziano cercava riparo all’ombra degli ippocastani. Il sole batteva forte, l’aria vibrava, e tutto pareva scorrere come sempre. Poi, il silenzio fu spezzato da un suono lontano. Un ronzio. Non era quello familiare degli aerei tedeschi, bassi e cupi, ormai quasi scomparsi dal cielo. Questo era diverso: più alto, più deciso. Chi era abituato a quelle frequenze se ne accorse subito. Gli sguardi si alzarono al cielo limpido, e in pochi minuti apparvero due formazioni di aerei alleati: sei da una parte, dodici dall’altra.
Sorvolarono Montebello con traiettorie lente, quasi misurando il paese con lo sguardo. Poi sganciarono il loro carico: 48 bombe piombarono nei pressi del ponte sul Guà e su quello ferroviario ai Ronchi. L’obiettivo era colpire le infrastrutture, ma molte bombe mancarono il bersaglio, esplodendo nel letto del fiume o tra le case vicine. Quattro civili morirono, alcuni feriti non ce la fecero. I Ronchi contarono diverse abitazioni danneggiate. Il fumo e la sabbia si alzarono come un muro. Non era più una guerra lontana. Era arrivata a casa.
Fu chiaro a tutti: Montebello era diventato un obiettivo. Non era più solo un paese agricolo, ma un punto strategico per gli Alleati. I ponti, la ferrovia, la strada statale 11, tutto era motivo sufficiente per attirare il fuoco dal cielo. E infatti tornarono.
Passò poco più di un mese. Era domenica 15 ottobre, una di quelle giornate d’autunno limpide, con l’aria frizzante e il cielo ancora azzurro. Intorno alle undici, nella chiesa prepositurale si stava per iniziare la messa. Intanto, lungo la strada-diga rialzata che porta verso Vicenza, avanzava una colonna tedesca: cavalli, muli, carri, soldati a piedi. Quella strada era scoperta, sopraelevata di sei-sette metri rispetto alle campagne. Un punto perfetto per colpire. I cieli si aprirono di nuovo: diciotto aerei americani calarono all’improvviso. Non ci fu scampo. Non ci fu tempo per scappare, né rifugi in cui nascondersi. Le bombe e le raffiche caddero come grandine. In pochi minuti la colonna fu distrutta. Cavalli sventrati, corpi dilaniati, soldati feriti che urlavano tra i fumi e le macerie. Fu una carneficina. Cinque soldati morirono, sei furono trasportati in ospedale. Una casa privata fu parzialmente abbattuta, molte altre lesionate. I civili cominciarono a scappare già dal pomeriggio, portandosi dietro quello che potevano. Da quel momento, la paura divenne parte della vita quotidiana.
Non era una paura vaga. Era concreta. Si costruirono rifugi antiaerei, venne installata una sirena d’allarme. Ogni sera calava anche l’oscuramento: niente luci, né nei negozi né nelle case. Bastava uno spiraglio per attirare “Pippo”. Era, questo, il nome che tutti davano a un misterioso aereo alleato che sorvolava Montebello di notte. Solo, minaccioso, costante. Cercava luci, e se ne scorgeva una, lanciava bombe. Il suo ronzio diventò il rumore più temuto dalle famiglie. Bastava sentirlo per correre a rifugiarsi o spegnere tutto.
Col passare dei mesi, Montebello finì nel mirino sempre più spesso. Gli attacchi erano quasi quotidiani. Aerei mitragliatori, cacciabombardieri, ricognitori: il cielo era diventato il nemico. L’intensità dei bombardamenti raggiunse quella delle aree strategiche come lo scalo ferroviario di Santa Lucia di Verona. Chi viveva nei paesi vicini, da San Bonifacio a Caldiero, bastava che sentisse arrivare il rombo degli aerei per sapere: o toccava a Montebello, o a Santa Lucia. Le bombe erano certe. Solo il bersaglio variava.
E se non erano bombe, erano “bombette a farfalla”. Piccoli ordigni insidiosi, lanciati a grappoli, che scendevano lentamente a terra grazie a minuscole alette metalliche. Non esplodevano subito. Restavano sul terreno, mimetizzati tra l’erba, in attesa. Bastava sfiorarne uno con il piede o il manico di una zappa, e si attivava. Chi malauguratamente, veniva a contatto con una di queste, la faceva scoppiare e ne restava colpito.
Anche Montebello pagò il prezzo di queste trappole. Alcuni civili persero la vita, semplicemente passando per un campo, o tentando di rimettere in piedi una strada o un edificio.
In mezzo a tutto questo, qualcuno prendeva appunti. Monsignor Antonio Zanellato, prevosto del paese, tenne un diario. Non era poesia. Era un registro ossessivo, accurato, quasi clinico. Scriveva ogni giorno, con una calligrafia minuta e nervosa. Annotava ogni attacco: ora, tipo di aerei, numero di bombe, case colpite, nomi dei morti e dei feriti. Nei primi giorni scriveva senza numerare. Poi, quando gli attacchi divennero quotidiani, cominciò a contarli. Dal 31 agosto 1944 al 25 aprile 1945 registrò 50 bombardamenti e 34 mitragliamenti. E precisò, con amara lucidità, che gli ultimi giorni erano stati così frenetici da non riuscire più a tenerne il conto.
Nell’ultima pagina del diario, tra una riga e l’altra, quasi non ci fosse più spazio per aggiungere nulla, lasciò scritto: “Su una statistica pubblicata a Vicenza, è stato assegnato a Montebello il primato su tutti i Comuni della Provincia per incursioni subite.”
Montebello aveva visto il peggio. Non solo il passaggio della guerra, ma la sua permanenza. I suoi cittadini avevano vissuto mesi interi sotto l’ansia di un rombo, di un lampo, di una notte senza luce. Eppure, in mezzo a tutto, c’erano le chiese, i campi, le famiglie. Gente che continuava a vivere, a sposarsi, a piangere, a ricostruire. Nonostante tutto. Montebello non fu solo un punto strategico da colpire. Fu un luogo abitato da uomini, donne e bambini che, giorno dopo giorno, impararono a convivere con la morte che arrivava dal cielo.
FOTO: 1) Bombardamenti degli Alleati a Montebello, nel 1944-45, sui due grandi ponti sul torrente Guà (NARA – National Archives and Records Administration).
BIBLIOGRAFIA: – G.Versolato, “Bombardamenti aerei degli alleati nel Vicentino”, Novale, 2007.
– Diario manoscritto di Mons. Antonio Zanellato prevosto di Montebello dal 1919 al 1952 (Archivio parrocchiale di Montebello).
Umberto Ravagnani
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