[433] LE VOCI DEL PASSATO
Una testimonianza di Angelo Valente
Quando attraversava il ponte del “Marchese” a Montebello e vedeva scorrere le acque putride e nauseabonde del torrente Chiampo, Angelo Valente (chi non l’ha conosciuto?) sentiva stringersi il cuore. Ricordava un tempo in cui quel torrente era limpido, quando le sue acque portavano con sé il candore delle rocce e il profumo del muschio delle valli. Era un’epoca di fatica e sacrificio, ma anche di dignità e semplicità, un tempo che oggi sembra appartenere a un mondo dimenticato.*
Angelo era cresciuto in una famiglia di sterratori. Fin da ragazzo aveva lavorato nel letto del torrente per scavare sabbia e ghiaia. Il lavoro era duro: d’inverno il gelo gli penetrava nelle ossa mentre i piedi nudi sprofondavano nell’acqua gelida, d’estate il sole bruciava la pelle, riverberando sulla sabbia bianca. La giornata iniziava all’alba e terminava al tramonto. Il piccone serviva a scavare la ghiaia, il badile a lanciarla contro il setaccio per separarla dalla sabbia, la carriola a trasportarla sugli argini. Era un lavoro senza tregua, senza diritti e senza protezioni.
A mezzogiorno sua madre arrivava con un pentolino di minestrone e qualche fetta di polenta, avvolta in un tovagliolo per mantenerla calda. Seduto su un sasso, divorava tutto con la fame di chi sa che non ci sarà altro fino a sera. Il loro salario si misurava a carriole e a metri cubi di materiale scavato: poco, misero, eppure necessario per sopravvivere. La fatica era tanta, ma la dignità non gli mancava.
Non lavorava da solo. Sul greto del torrente le lavandaie sciacquavano i panni, battendoli con forza sulle pietre, e i bambini venivano a giocare nelle buche che scavavano. Quegli avvallamenti diventavano piscine naturali, dove l’acqua restava fresca e limpida, irrobustendo il corpo dei ragazzi. Era un’epoca dura, ma la comunità era unita: la solidarietà era spontanea, nessuno restava indietro.
Frequentava la scuola quando poteva, ma i giorni passati in classe erano pochi rispetto a quelli passati nel torrente. Col passare degli anni, la sua vita prese altre strade. Lasciò il lavoro di sterratore e acquistò un motocarro con cui trasportava merci tra i paesi. Ogni giorno era diverso: incontrava gente nuova, scopriva angoli nascosti, ascoltava storie di chi viveva lungo il suo percorso.
Lavorava con autonomia, senza padroni né orari imposti. La strada divenne la sua compagna, il motocarro la sua casa mobile. Non aveva più il fango sotto i piedi, ma la libertà del viaggio e la certezza di un mestiere che gli dava dignità.
Si sposò con Maria Rosa, una brava ragazza del paese, e insieme misero su famiglia. La vita era dura, ma la felicità si trovava nelle piccole cose: il profumo del pane appena sfornato, le sere d’estate passate a chiacchierare sotto le stelle, il sorriso dei loro figli. Sapevano accontentarsi, apprezzare quello che avevano, senza desiderare sempre di più.
Angelo continuava a guardare quel torrente, ormai soffocato dai rifiuti e dagli scarti delle concerie. Pensava a come il tempo aveva cambiato tutto: la fatica di una volta era stata sostituita dalle macchine, la vita di comunità aveva lasciato il posto all’individualismo, e quella limpidezza, che qualche decennio prima pareva scontata, era diventata un ricordo lontano. Non rimpiangeva la durezza di quei giorni, ma si chiedeva se davvero si era guadagnato qualcosa nel perdere il senso di unità e di rispetto per la natura che allora esisteva.
La sua storia non è solo sua: è la storia di un’epoca e di un paese che rischia di essere dimenticato. Ma finché qualcuno la racconterà, finché qualcuno guarderà quel torrente con gli stessi occhi con cui lui lo guardava da ragazzo, forse quel passato non sarà andato perso del tutto. UMBERTO RAVAGNANI
FOTO: Pulizia del greto del torrente Chiampo e recupero di pietre e sabbia, a Montebello nel 1919 (IWM – Imperial War Museum).
NOTA: * Da una testimonianza di Angelo Valente raccolta circa trent’anni fa.
BIBLIOGRAFIA: – L.Mistrorigo, A.Maggio, “Montebello Novecento”, Montebello Vic., 1997.
Vedi anche l’articolo n. [376] IL PIÚ BUONO DELL’ANNO.
Umberto Ravagnani
Se hai FACEBOOK e l’articolo ti ha soddisfatto metti MI PIACE
Oppure lascia un commento qui sotto…