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ROSANNA ZANESCO

[407] LA MAESTRA ROSANNA ZANESCO
La Maestra che ha cresciuto la generazione degli anni β€˜70 e β€˜80

Negli anni β€˜70 e β€˜80, l’Italia si trovava in una fase di grande cambiamento. La scuola rifletteva questa evoluzione, trasformandosi da istituzione rigida e autoritaria a luogo piΓΉ inclusivo e attento ai bisogni degli studenti. In questo contesto, la figura dell’insegnante assumeva un ruolo cruciale.
A Montebello Rosanna Zanesco, maestra di scuola elementare, Γ¨ stata una delle educatrici che hanno incarnato questa innovazione.
Con un approccio che combinava fermezza e sensibilitΓ , Rosanna Zanesco ha saputo instaurare con i suoi alunni un legame speciale. Le sue classi non erano semplicemente spazi di apprendimento, ma ambienti dove i bambini potevano esprimere se stessi, coltivare curiositΓ  e sviluppare il proprio potenziale. In un periodo in cui l’Italia stava evolvendo anche a livello economico e culturale, il ruolo di educatori come Rosanna era fondamentale per formare i cittadini del domani.
Qualche anno fa, Rosanna Zanesco ha rilasciato un’intervista a Maria Elena Dalla Gassa, in cui ha raccontato i suoi ricordi piΓΉ vividi della vita scolastica di quei tempi. Attraverso le sue parole, emergono l’entusiasmo, la dedizione e l’amore per il mestiere che l’hanno resa indimenticabile per molte generazioni. Con piacere riproponiamo oggi quell’intervista, invitando chi l’ha conosciuta a condividere i propri ricordi.

Β« La mia era una classe tutta femminile perchΓ© all’epoca le classi erano tutte maschili o tutte femminili. L’edificio scolastico aveva due entrate distinte a destra quella delle femmine e a sinistra quelle dei maschi. Anche il cortile era diviso.
L’aula era arredata dai banchi, quelli β€œdi una volta”, stravecchi, in legno, a due o piΓΉ posti, con buchi dove si incastrava il calamaio in cui intingevamo i pennini delle nostre penne a cannuccia.
Di fronte alle fila dei banchi rialzata su una pedana c’era la cattedra e a destra c’era la lavagna; sulla parete frontale, al centro, era appeso il Crocifisso. La scuola era molto cattolica il prete insegnava religione, non c’era nessun laico che la insegnasse. I maestri e le maestre avevano altre materie. Quando ero scolara la figura dell’insegnante era carismatica, autorevole e incisiva nella formazione e nell’educazione degli alunni da avere quasi un debito morale nei loro confronti e soprattutto non si potrΓ  mai disconoscere l’importanza e il ruolo prezioso che i maestri hanno avuto nella propria vita. Io ho voluto diventare insegnante anche per questo e per l’amore per i bambini.
Personalmente, nel corso dei cinque anni delle elementari, ricordo benissimo tutte le mie maestre. I primi tre anni ho avuto la maestra Caterina Bergami era una mastra che sapeva insegnare con autorevolezza e per incentivare le scolare dava dei premi. Io ne ho presi piΓΉ di uno in matematica. Quando non ho piΓΉ avuto la maestra Bergami ne Γ¨ arrivata una che non ti insegnava molto faceva recitare sempre le preghiere e ti faceva fare sempre riassunti, ho fatto tantissimi riassunti, mi ricordo in particolare quelli delle fiabe di Andersen.
In quinta elementare per fortuna Γ¨ arrivata la maestra Teresa Nicoletti, la quinta era un anno importante e bisognava essere preparate molto bene perchΓ© se volevi andare alle Medie dovevi sostenere un esame di ammissione. Era difficile questo esame, si veniva bocciati e non potevi ripeterlo piΓΉ di un paio di volte.
Ho superato l’esame di ammissione e ho potuto andare alle Medie qua a Montebello.
Era il primo anno che c’erano le Scuole Medie in paese. Erano nell’edificio proprio vicino alla scuola Elementare.
In prima la classe era mista poi dalla seconda sono stati divisi i maschi dalle femmine in due sezioni distinte. Finite le medie mi sono iscritta alle Magistrali.
Dopo diplomata e prima di entrare di ruolo alle elementari di Montebello ho insegnato per tre anni al doposcuola sempre situato in questa scuola ed ero pagata dal Patronato scolastico. Mi ricordo si teneva un registro e il sabato il direttore, che era Cavallaro, veniva per vedere controllare cosa si era fatto. Quando ho superato il concorso nel 1973 sono stata due anni a Chiampo e poi sono venuta a Montebello e ho sempre insegnato qui fino alla pensione. Β» (Da “LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE DI MONTEBELLO VICENTINO” di Ottorino Gianesato, Umberto Ravagnani e Maria Elena Dalla Gassa).

FOTO: Anno scolastico 1985-86, classe Ia mista. La maestra era Rosanna ZanescoΒ (cortesia Rosanna Zanesco).

Umberto Ravagnani

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1945: TRA CAOS E LIBERAZIONE

[406] 1945: MONTEBELLO TRA CAOS E LIBERAZIONE
Dall’incubo della ritirata tedesca alla gioia della liberazione

L’aprile del 1945 segnΓ² la fine di una lunga e devastante era per l’Italia. La Seconda Guerra Mondiale stava per concludersi, ma non senza lasciare un’ultima scia di terrore e caos. In questo scenario, MontebelloΒ divenne teatro di eventi drammatici e cruciali che avrebbero segnato per sempre la memoria dei suoi abitanti. Mentre i tedeschi si ritiravano in disordine e gli Alleati avanzavano inesorabilmente, il paese visse giorni di incubo, seguiti finalmente dall’atteso respiro di libertΓ .
A inizio 1945, la Linea Gotica rappresentava l’ultima roccaforte difensiva delle forze tedesche in Italia. Costruita lungo gli Appennini, questa linea doveva servire come un insormontabile baluardo contro l’avanzata degli Alleati. Tuttavia, con l’approssimarsi della primavera, le forze tedesche si trovarono sull’orlo del collasso. Le loro truppe, stremate da mesi di combattimenti, soffrivano la mancanza di rifornimenti e il continuo assalto degli eserciti angloamericani, supportati dai partigiani italiani.
Quando le linee difensive iniziarono a cedere sotto la pressione degli attacchi alleati, il comando tedesco ordinΓ² una ritirata disperata verso il nord. Tuttavia, questa fuga divenne presto un caos incontrollato. I convogli tedeschi, esposti al dominio incontrastato dell’aviazione alleata, furono decimati lungo le vie di ritirata. Soldati che un tempo marciavano con fierezza si trovarono ridotti a fuggiaschi, costretti a cercare salvezza a piedi o su biciclette rubate.
Montebello, situato lungo la via di ritirata tedesca, divenne un luogo di transito per queste truppe in fuga. Per giorni, gli abitanti assistettero, impotenti e spaventati, al passaggio di colonne sbandate di soldati tedeschi. Provenienti da Torri di Confine, questi uomini attraversavano il paese con passo incerto, spesso senza più una meta precisa. Il loro morale era distrutto, così come le loro risorse. Rubavano biciclette per proseguire la fuga, cercando disperatamente di allontanarsi dal fronte che avanzava inesorabilmente.
I montebellani, rinchiusi nelle loro case o nascosti nei rifugi, vivevano in un clima di costante tensione. Ogni giorno, il rumore di passi pesanti e il fruscio di divise logore riempivano le strade del paese. La paura di una possibile battaglia imminente, di distruzioni e saccheggi, era palpabile. Eppure, i tedeschi non avevano nΓ© la forza nΓ© i mezzi per difendere o distruggere Montebello. Erano ormai ombre in fuga, consapevoli di essere alla fine di una guerra che non potevano piΓΉ vincere.
Per comprendere appieno l’importanza degli eventi che si svolsero a Montebello, Γ¨ necessario collocare il tutto nel contesto della piΓΉ ampia campagna militare in Italia. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943 e l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno, l’Italia divenne un campo di battaglia tra le forze alleate e quelle dell’Asse. La guerra si trasformΓ² in una lunga e sanguinosa avanzata attraverso una serie di linee difensive tedesche, di cui la Linea Gotica fu l’ultima e piΓΉ imponente.
Con l’inizio del 1945, era ormai chiaro che la fine della guerra in Europa era vicina. Gli Alleati avanzavano da sud, sostenuti da bombardamenti continui e da un crescente movimento partigiano, mentre i tedeschi cercavano disperatamente di rallentare questa avanzata. La liberazione dell’Italia settentrionale divenne una questione di tempo, e Montebello, come molti altri piccoli centri, si trovΓ² improvvisamente al centro di questa tempesta.
Durante quei giorni di aprile, Montebello era costantemente sorvegliato dall’alto. Gli Alleati inviavano regolarmente i loro aerei da ricognizione, soprannominati β€œCicogne”, a sorvolare il paese. Questi velivoli erano incaricati di monitorare ogni movimento nemico e di segnalare qualsiasi tentativo di resistenza. Se i tedeschi avessero cercato di fortificare il paese, Montebello sarebbe stato ridotto in macerie dai bombardamenti alleati.
Ma il destino fu clemente: le truppe tedesche, ormai allo sbando, non avevano nΓ© i mezzi nΓ© la volontΓ  di organizzare una difesa. Il paese, pur segnato dalla presenza di soldati in fuga, fu risparmiato dalla distruzione. Gli abitanti, pur consapevoli del pericolo, potevano solo sperare che la tempesta della guerra passasse senza lasciare altre cicatrici.
La notte del 24 aprile 1945, Montebello si trovava sospeso tra il terrore e la speranza. I tedeschi erano scomparsi, ritiratisi senza combattere, e il paese giaceva in un silenzio irreale. Gli abitanti, rinchiusi nelle loro case, attendevano con ansia l’arrivo delle forze alleate. Ogni rumore nella notte sembrava portare con sΓ© la promessa di un cambiamento imminente, ma nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo nelle ore successive.
Poco dopo mezzanotte, il silenzio fu rotto dal rombo metallico dei cingoli dei carri armati americani. Gli Alleati erano finalmente arrivati. I carri armati attraversarono il paese senza incontrare resistenza, e Montebello, dopo anni di paura e oppressione, si ritrovΓ² improvvisamente libera. La liberazione, tanto attesa, era finalmente realtΓ . La guerra, con tutto il suo carico di orrori, era finita.
Il 25 aprile 1945, Montebello si svegliΓ² sotto un cielo sereno e carico di promesse. Le strade del paese, che fino al giorno prima erano state teatro di paura e tensione, si riempirono di persone che uscivano finalmente dalle loro case. L’aria era carica di emozioni contrastanti: sollievo, gioia, ma anche tristezza per le sofferenze patite. La piazza principale divenne il cuore pulsante della celebrazione, un luogo dove i montebellani si riunirono per abbracciarsi, piangere e ridere insieme.
Il culmine della festa arrivΓ² con l’ingresso di una camionetta americana nella piazza del Municipio. I soldati, accolti come liberatori, distribuivano cioccolatini e sorrisi, mentre la folla li circondava in un’esplosione di gratitudine. Montebello, che aveva vissuto anni di oppressione e paura, si trovava finalmente a festeggiare la libertΓ . Quel giorno, il paese iniziΓ² a guarire dalle ferite della guerra, riscoprendo il significato della parola β€œpace”.
La liberazione di Montebello non fu solo un momento di gioia locale, ma rappresentò un capitolo importante nella storia della liberazione italiana. In tutta Italia, il 25 aprile divenne il simbolo della vittoria sulla tirannia e della rinascita di una nazione. Montebello, con la sua storia di sofferenza e riscatto, si unì a questo grande movimento di rinascita, diventando un simbolo di speranza e di libertà.
Oggi, la memoria di quei giorni vive ancora nelle storie raccontate dagli anziani e nelle commemorazioni annuali. Ogni anno, il paese ricorda la sua liberazione, onorando il sacrificio di chi ha combattuto per la libertΓ  e celebrando la forza di una comunitΓ  che ha saputo resistere e risorgere. La liberazione di Montebello Γ¨ un ricordo che continua a ispirare, un messaggio di coraggio e speranza per le generazioni future.

Umberto Ravagnani

BIBLIOGRAFIA: P. Savegnago, Le organizzazioni Todt e Poll in provincia di Vicenza, Padova, 2012.
A.Maggio – L.Mistrorigo, “Montebello Novecento“, 1997.
FOTO: La celebrazione del 25 aprile a Montebello davanti al monumento ai Caduti circa 55 anni fa. In primo piano, al centro, FIORELLO BOSCARDIN sindaco dal 1964 al 1975 (cortesia Marco Boscardin. Elaborazione grafica digitale e colore di Umberto Ravagnani).

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MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO

[405] 1943: MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO
La grande fossa anticarro e la lotta per sopravvivere

Nel cuore dell’inverno del 1943-44, l’Italia settentrionale era avvolta in un’atmosfera di gelo e terrore. La guerra, che ormai devastava l’Europa da anni, si era insinuata anche nei piccoli centri abitati, trasformando la quotidianitΓ  in un susseguirsi di privazioni e paura. Montebello, un tranquillo comune veneto, divenne il teatro di un dramma umano quando le truppe tedesche intensificarono la loro presenza.
In tutto il Nord Italia, le risorse scarseggiavano e i bombardamenti degli Alleati aumentavano di intensitΓ , colpendo le infrastrutture strategiche per rallentare l’avanzata nemica. A Montebello, i ponti sul torrente GuΓ , cruciali per i movimenti militari, erano spesso bersaglio degli attacchi aerei, e i genieri dell’Organizzazione Todt lavoravano incessantemente per ripararli. La popolazione, ormai stremata, viveva con l’ansia costante di un’esplosione improvvisa o di un rastrellamento notturno.
L’estate del 1944 portava con sΓ© non solo il caldo torrido, ma anche l’angoscia di un conflitto che si avvicinava sempre piΓΉ. Gli Alleati avanzavano lentamente verso il nord, mentre le forze naziste si preparavano a resistere con ogni mezzo possibile. Montebello, per la sua posizione strategica, era destinato a diventare un punto chiave nella difesa tedesca. L’atmosfera era carica di tensione, e ogni giorno sembrava piΓΉ pesante del precedente.
Fu in questo contesto che giunse la notizia devastante: la mobilitazione civile forzata. Una domenica di metΓ  agosto, mentre i fedeli uscivano dalla Messa delle dieci, trovavano ad attenderli un ordine terribile. Manifesti affissi nella piazza del Municipio annunciavano che tutti i cittadini dai 18 ai 60 anni per le donne, e fino ai 65 per gli uomini, dovevano presentarsi il giorno seguente all’alba, armati di pala e piccone.
LunedΓ¬ mattina, la piazza del Municipio era gremita di persone. Il comando tedesco, con la precisione che lo caratterizzava, aveva preparato una lista di nomi fornita dall’ufficio anagrafe. Non c’era modo di sottrarsi a quell’obbligo: chi non si fosse presentato avrebbe rischiato la deportazione in un campo di concentramento o, peggio, l’esecuzione sommaria.
Tra i convocati c’erano uomini e donne di ogni estrazione sociale. Perfino i sacerdoti, solitamente rispettati e lasciati in pace, erano stati costretti a partecipare, insieme a medici e impiegati comunali. Quella che doveva essere una normale giornata estiva si trasformava in una marcia forzata verso il ponte sul Chiampo, sotto il sole cocente e la sorveglianza dei soldati tedeschi armati.
Il compito assegnato ai montebellani era chiaro: scavare una grande fossa anticarro, un’opera monumentale destinata a rallentare l’avanzata delle truppe alleate. La fossa, lunga dieci chilometri e larga fino a cinque metri, doveva correre dal ponte sul Chiampo fino alle colline di Sarego, tagliando in due la campagna veneta. Era una missione disperata, un ultimo tentativo da parte dei tedeschi di guadagnare tempo mentre le loro forze si ritiravano verso le Alpi, dove speravano di organizzare una difesa finale.
Ogni giorno, sotto la supervisione della Todt, oltre mille persone lavoravano senza sosta, sfidando la fatica e il caldo soffocante. I meno giovani, soprattutto, faticavano a reggere il ritmo, ma l’alternativa era impensabile. I soldati tedeschi vigilavano attentamente, pronti a intervenire con la forza se il lavoro non fosse stato portato avanti con sufficiente rapiditΓ .
Per molti, il lavoro forzato era una condanna, ma anche un modo per sopravvivere. La Todt pagava coloro che lavoravano nella fossa, e sebbene le voci dicessero che il denaro distribuito fosse falso, quelle lire rappresentavano comunque una possibilitΓ  di acquistare il poco cibo disponibile. Ogni settimana, i lavoratori si radunavano per ricevere la loro paga, una cerimonia tanto assurda quanto necessaria in quel contesto di guerra.
Remo Schiavo, classe 1928, che in quel periodo lavorava a Montebello, racconta: Β« C’erano i soldi, io prendevo 40 lire al giorno, mio padre 60. Ci pagavano ogni settimana o dieci giorni. Con quella cifra potevamo comprare un chilo di carne […] ci pagavano con banconote nuove, si diceva che erano false e che i tedeschi se le stampavano. Ci pagavano in cortile, c’era un banchetto con un pagatore, una segretaria e un sorvegliante… Β».
Nonostante la brutalitΓ  della situazione, gli abitanti di Montebello non si lasciarono sopraffare. Seppur costretti a lavorare per il nemico, trovarono modi per resistere. Alcuni rallentavano deliberatamente il lavoro, sperando di sabotare, anche se in minima parte, il progetto tedesco. Altri cercavano di mantenere alto il morale, raccontandosi storie di speranza durante le brevi pause.
Questa resistenza passiva era forse l’unica arma rimasta a una popolazione stremata. Non c’erano armi da impugnare, nΓ© fortificazioni da difendere, ma c’era la determinazione a non cedere del tutto alla disperazione. Ogni gesto, ogni parola scambiata, diventava un atto di ribellione silenziosa contro l’occupante.
La grande fossa anticarro di Montebello non riuscΓ¬ a fermare l’avanzata degli Alleati, ma il suo significato va oltre la sua funzione militare. Essa rappresenta un monumento alla resilienza di una comunitΓ  che, nonostante tutto, riuscΓ¬ a mantenere la propria umanitΓ  in mezzo alla disumanitΓ  della guerra. I giorni di lavoro forzato sotto il sole rovente, sorvegliati da soldati armati, sono rimasti impressi nella memoria collettiva di Montebello, un ricordo doloroso ma anche una testimonianza di coraggio.
Alla fine, l’occupazione tedesca si concluse con la ritirata delle truppe e l’arrivo delle forze alleate. La fossa anticarro rimase come un segno indelebile del passaggio della guerra, ma anche come simbolo della capacitΓ  di resistenza di un popolo. Il ricordo di quei giorni continua a vivere nelle storie tramandate, non solo come memoria di sofferenza, ma anche come testimonianza di una forza d’animo che ha permesso a Montebello di sopravvivere agli orrori del conflitto.

Umberto Ravagnani

FOTO: Scavo del fossato anti-carro durante l’inverno 1943-44.
BIBLIOGRAFIA
: P. Savegnago, Le organizzazioni Todt e Poll in provincia di Vicenza, Padova, 2012.
A.Maggio – L.Mistrorigo, “Montebello Novecento“, 1997.

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LA PALA DELLA MADONNA DI MB

[404] LA PALA DELLA MADONNA DI MONTEBELLO
Un capolavoro riscoperto

Montebello Vicentino, un borgo che custodisce preziose testimonianze del passato, ha celebrato, negli anni 80 del Novecento, il ritorno di uno dei suoi tesori artistici piΓΉ importanti: la pala della Madonna di Montebello. Questo dipinto, dopo secoli di vicissitudini e un accurato restauro, Γ¨ stato riportato alla sua bellezza originaria e ha ripreso il suo posto nella Sala Consiliare del Comune. L’opera, risalente al 1670, offre una finestra sulla devozione e sull’identitΓ  culturale di una comunitΓ  che, attraverso i secoli, ha saputo preservare e valorizzare il proprio patrimonio.
Il dipinto della Madonna di Montebello nasce in un periodo di transizione per l’arte vicentina, quando la grande scuola pittorica del Cinquecento si stava spegnendo, lasciando spazio a nuovi stili e influenze. La comunitΓ  di Montebello, in cerca di affermare la propria identitΓ  e devozione, commissionΓ² questo dipinto a un pittore anonimo, il cui stile rivela l’influenza dei grandi maestri del Rinascimento, ma con un tocco di freschezza che anticipa il gusto del Settecento. Il dipinto fu concepito come un atto di fede e un simbolo della protezione divina sulla comunitΓ . Al centro della scena, la Vergine Maria Γ¨ raffigurata con il Bambino in braccio, un’immagine tradizionale ma carica di significato per i fedeli di questo paese. Ai lati della Madonna, troviamo i santi patroni di Montebello: San Daniele, profeta dell’Antico Testamento, e Santa Brigida, vergine d’Irlanda. Queste figure sacre sono state scelte non solo per la loro importanza spirituale, ma anche per il loro legame con le storie e le tradizioni locali.
La composizione della pala Γ¨ studiata nei minimi particolari per trasmettere un messaggio di fede e devozione. Al centro, la Vergine Maria Γ¨ seduta su un trono, con il Bambino GesΓΉ in braccio. Il volto della Madonna, sereno e dolce, Γ¨ rivolto verso i fedeli, mentre il Bambino, che tiene in mano una pianta di aquilegia, guarda verso il futuro, simboleggiando la Passione e il sacrificio che lo attendono. L’aquilegia, dal delicato colore rossastro, Γ¨ un richiamo diretto al sangue della Passione di Cristo, una prefigurazione del destino di sofferenza e redenzione.
La Madonna tiene in mano un Rosario, un simbolo della preghiera e della devozione cristiana. Il Rosario, con le sue perle che si susseguono una dopo l’altra, rappresenta il cammino spirituale del credente, un percorso di meditazione e riflessione sui misteri della fede. Questo elemento, centrale nella tradizione cattolica, rafforza il messaggio di fiducia e speranza che il dipinto vuole trasmettere.
A sinistra della Madonna, San Daniele Γ¨ raffigurato con un’espressione solenne. Il profeta, conosciuto per la sua saggezza e le sue visioni, incarna la forza della fede e la capacitΓ  di interpretare i segni divini. La sua presenza nel dipinto Γ¨ un richiamo alla necessitΓ  di una guida spirituale in tempi di incertezza e cambiamento.
Dall’altro lato, Santa Brigida Γ¨ rappresentata in una posa raccolta e umile, con in mano un giglio (in altri dipinti con una fiamma sul capo). Il giglio, fiore delicato e puro, simboleggia la verginitΓ  e la castitΓ  della santa, mentre la fiamma rappresenta il fuoco divino che, secondo la tradizione, apparve sopra la sua testa come segno della sua consacrazione a Dio. La scelta di Santa Brigida, una figura venerata sia in Irlanda che in Italia, sottolinea l’universalitΓ  del messaggio di fede trasmesso dal dipinto.
Un aspetto di grande interesse della Pala della Madonna di Montebello Γ¨ la presenza degli stemmi araldici che decorano la parte inferiore del dipinto. Questi stemmi, finemente dipinti, appartengono alla famiglia Sangiovanni e alla comunitΓ  di Montebello, e sono un chiaro segno del legame tra l’opera d’arte e la storia locale.
Lo stemma della famiglia Sangiovanni, posizionato a destra dell’iscrizione dedicatoria, Γ¨ diviso in due campi: nel campo superiore, un leone dorato avanza con maestosa sicurezza, simbolo di forza, coraggio e nobiltΓ . Nel campo inferiore, un albero verdeggiante si erge maestoso, rappresentando la concordia e l’unitΓ  familiare. Questo stemma non Γ¨ solo un elemento decorativo, ma una testimonianza della presenza e del ruolo della famiglia Sangiovanni nella comunitΓ  di Montebello.
A sinistra dell’iscrizione, lo stemma comunale di Montebello Γ¨ raffigurato con tre torri merlate rosse su uno sfondo celeste, un simbolo della cittΓ  e della sua storia. Le torri, elemento centrale dello stemma, rappresentano la forza e la resistenza della comunitΓ  nel corso dei secoli, un baluardo contro le avversitΓ  e le minacce esterne.
Dopo secoli di esposizione e interventi non sempre adeguati, la Pala della Madonna di Montebello era giunta in uno stato di degrado tale da richiedere un restauro urgente. GiΓ  nel 1897, il Prevosto Giuseppe Capovin aveva tentato di salvare l’opera, affidando il compito a Felice Castegnaro, un giovane pittore di Montebello. Tuttavia, l’intervento del Castegnaro si rivelΓ² piΓΉ una ridipintura che un vero e proprio restauro, alterando in modo significativo l’aspetto originale del dipinto.
È solo grazie all’ultimo intervento di restauro, opera di Lino Lovato, eseguito con grande cura e attenzione, che la pala Γ¨ stata finalmente riportata alla sua forma originaria. Questo restauro ha permesso di eliminare le sovrapposizioni di colore che si erano accumulate nel corso dei secoli, restituendo alla comunitΓ  un’opera che Γ¨ ora piΓΉ vicina a quella che era nel 1670. Ogni dettaglio, dalla delicatezza dei volti alla vividezza dei colori, Γ¨ stato recuperato, permettendo ai fedeli di riscoprire la bellezza e il significato profondo del dipinto.
Il ritorno della pala della Madonna di Montebello nella sua collocazione originaria ha suscitato un profondo senso di orgoglio e appartenenza nella comunitΓ . Questo dipinto non Γ¨ solo un’opera d’arte, ma un pezzo di storia che racconta la devozione, le speranze e le vicissitudini di generazioni di montebellani. Il restauro della pala ha riacceso l’interesse per il patrimonio culturale locale, stimolando un rinnovato impegno per la sua conservazione e valorizzazione.
La storia della pala della Madonna di Montebello Γ¨ un racconto di fede, arte e perseveranza. Il restauro di Lino Lovato ha permesso di riportare alla luce un capolavoro nascosto, restituendo alla comunitΓ  un pezzo fondamentale della sua storia. Questo dipinto, con la sua bellezza e il suo significato profondo, continua a ispirare e a unire la comunitΓ , ricordando l’importanza di preservare e valorizzare il nostro patrimonio culturale.

Umberto Ravagnani

BIBLIOGRAFIA: V. NORI, Montebello Vicentino – La Storia illustrata, 1988.
R.SCHIAVO, Montebello Vicentino – Storia e Arte, 1992.
FOTO: La pala della Madonna di Montebello nella Sala Consiliare del Comune (foto Umberto Ravagnani).

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NOTTE DI PAURA AL BORGO

[403] NOTTE DI PAURA AL BORGO DI MONTEBELLO
Notte di tensione e paura per il rischio di alluvione

Il 28 ottobre 1953 il β€œGiornale di Vicenza” apriva con questo titolone che interessava tutta la valle dell’Agno-GuΓ : β€œPericolosi straripamenti e vaste frane per il maltempo nella valle dell’Agno”. La Valle dell’Agno stava vivendo ore drammatiche a causa di un maltempo che sembrava non voler cessare. Da giorni, la pioggia cadeva ininterrotta, ingrossando fiumi e torrenti fino a farli straripare. Le conseguenze erano devastanti: strade interrotte, abitazioni minacciate, e frane che stavano mettendo a rischio intere comunitΓ .
A San Quirico, una frana aveva travolto un muro di sostegno, provocando il crollo del tetto di una casa appena costruita. Fortunatamente, nessuno era presente al momento del disastro, evitando così una possibile tragedia. Ma il pericolo era ovunque: il torrente Agno, gonfio e minaccioso, aveva eroso le sue sponde in diversi punti, avvicinandosi pericolosamente alle abitazioni.
A Cornedo, la situazione non era meno critica. Il Rio di San Sebastiano aveva superato gli argini, allagando case e strade. Il metanodotto che attraversa la zona era a rischio, e squadre di tecnici lavoravano senza sosta per evitare danni alle condutture. La nuova diga sull’Agno, costruita di recente, era in grave difficoltΓ : le acque impetuose stavano mettendo a dura prova la sua resistenza.
Anche a Brogliano, l’Agno aveva distrutto le difese degli argini, costringendo alcune famiglie a evacuare le loro case. Il torrente aveva eroso profondamente la terra, minacciando di inghiottire i campi vicini. Operai e volontari lavorarono giorno e notte, cercando di arginare l’avanzata dell’acqua, ma la situazione rimaneva critica.
Le autoritΓ  locali monitoravano la situazione con estrema attenzione, mentre la popolazione attendeva con il fiato sospeso. Con le previsioni che annunciavano ancora pioggia, la speranza era che il peggio fosse ormai passato, ma la realtΓ  lasciava poco spazio all’ottimismo.
A Montebello una notte di tensione e paura ha sconvolto la contrada del Borgo, quando le autoritΓ  hanno ordinato l’evacuazione immediata a causa del rischio di una possibile alluvione. Le piogge torrenziali che da giorni colpivano la regione avevano ingrossato il torrente GuΓ , mettendo sotto pressione il bacino di laminazione che proteggeva e protegge, ancora oggi, l’abitato di Montebello.
Intorno alla mezzanotte, il Questore di Vicenza, insieme al capo del Genio Civile, si Γ¨ recato nella zona per valutare la situazione. Il tratto di strada statale 11 (oggi Strada Regionale 11), che funge anche da argine per il bacino, stava mostrando segni di cedimento, con infiltrazioni d’acqua che iniziavano a manifestarsi in vari punti. Di fronte alla crescente preoccupazione che l’argine potesse cedere sotto la pressione di oltre quattro milioni di metri cubi d’acqua, Γ¨ stata presa la difficile decisione di evacuare le trenta famiglie che risiedevano allora al Borgo.
Le forze dell’ordine si sono subito attivate, svegliando gli abitanti nel cuore della notte e informandoli dell’urgenza della situazione. Le famiglie, ancora assonnate e colte di sorpresa, hanno avuto solo pochi minuti per raccogliere i beni essenziali e abbandonare le loro case. Le Scuole Comunali e l’Asilo sono stati rapidamente trasformati in rifugi temporanei, dove molti residenti hanno trovato un riparo sicuro, mentre altri sono stati accolti da parenti e amici. Nel frattempo, i tecnici del Genio Civile, insieme ai vigili del fuoco, hanno lavorato incessantemente per monitorare la situazione. L’acqua accumulata nel bacino rappresentava una minaccia concreta, e la possibilitΓ  di un cedimento dell’argine non poteva essere esclusa. La pressione sull’argine della strada statale 11, sotto costante osservazione, era un elemento di grande preoccupazione per tutti.
Con l’arrivo dell’alba, le prime notizie positive hanno iniziato a diffondersi tra le famiglie evacuate. Il livello dell’acqua nel bacino stava lentamente diminuendo, riducendo la pressione sull’argine. Tuttavia, le autoritΓ  hanno deciso di mantenere l’evacuazione fino a quando non fosse stata garantita la totale sicurezza dell’area.
Nel corso della giornata, la situazione Γ¨ gradualmente migliorata. Il livello dell’acqua nel bacino Γ¨ continuato a calare, e i tecnici hanno finalmente potuto confermare che l’argine aveva retto. Solo nel pomeriggio Γ¨ stato dato il via libera per il ritorno delle famiglie alle loro case. Il sollievo era palpabile tra gli abitanti di Borgo, che avevano temuto il peggio.
Montebello Γ¨ tornata alla normalitΓ , ma la notte di paura rimarrΓ  impressa nella memoria della comunitΓ . Le autoritΓ  locali hanno promesso di rafforzare le misure di sicurezza per evitare che una simile emergenza possa ripetersi in futuro. Gli abitanti del Borgo, dopo l’esperienza vissuta, hanno riscoperto il valore della solidarietΓ  e della prontezza nell’affrontare le emergenze, sapendo di poter contare sulla propria comunitΓ .
Nel 1981 furono eseguiti alcuni lavori di ristrutturazione tra cui: una ulteriore sopraelevazione e rafforzamento della diga. Asportazione di circa 300.000 mc. di fondo sabbioso depositato nei tanti anni di esercizio. Questi interventi portarono la capacitΓ  totale del bacino a 5.600.000 mc.
Nei molti anni di attivitΓ , il bacino di Montebello Γ¨ stato messo in azione in occasione di oltre 120 piene, dimostrando la sua grande utilitΓ  nel proteggere il territorio dalle frequenti ondate di piena dell’Agno-GuΓ .
Quest’anno, a Montebello, sono ufficialmente iniziati i lavori di ampliamento del bacino di laminazione, un passo importante nel progetto avviato dalla Regione. Due anni fa, la Regione ha pubblicato un bando di gara per estendere la grande cassa di espansione, con l’obiettivo di aumentare la capacitΓ  dell’invaso di 3 milioni di metri cubi d’acqua. L’investimento totale supera i 55 milioni di euro, distribuiti in tre fasi distinte. Il progetto prevede la costruzione di un bacino di supporto accanto a quello giΓ  esistente, permettendo cosΓ¬ di gestire meglio l’acqua in eccesso dai torrenti GuΓ  e Chiampo e raggiungere una capacitΓ  complessiva di quasi 9 milioni di metri cubi. (Per notizie sulla costruzione del Bacino di espansione di Montebello vedi l’articolo [206] IL BACINO DI MONTEBELLO).

Umberto Ravagnani

FOTO: Il Bacino di espansione di Montebello Vicentino in funzione il 17 maggio 2013, dopo le intense piogge dei giorni precedenti (foto Umberto Ravagnani).
FONTE
: – Il Giornale di Vicenza del 28 ottobre 1953 (Biblioteca Bertoliana di Vicenza).

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ANTONIO AGOSTINI

[402] ANTONIO AGOSTINI
Una vita dedicata alla Medicina (1819-1909)

Antonio Agostini Γ¨ stato una figura emblematica della medicina italiana del XIX secolo. Nato a Montebello Vicentino il 17 agosto 1819, figlio di Giuseppe e Toscana Santa, Antonio Agostini ha lasciato un segno indelebile nel campo della salute pubblica e della medicina attraverso il suo instancabile impegno, le sue pubblicazioni innovative e il suo lavoro pionieristico negli ospedali. Scopriamo insieme la vita e le opere di questo straordinario medico.
Antonio Agostini trascorse gli anni formativi tra Vicenza e Verona, dove completΓ² gli studi primari e secondari. Nel 1845 si laureΓ² in medicina e chirurgia presso l’UniversitΓ  di Padova, una delle istituzioni piΓΉ prestigiose dell’epoca. L’anno seguente, decise di migliorare le sue competenze trasferendosi a Vienna, dove studiΓ² presso l’Istituto di perfezionamento operatorio. Questo periodo a Vienna fu cruciale, poichΓ© gli permise di apprendere tecniche chirurgiche avanzate e di sviluppare una solida base scientifica. Nel 1849, Agostini si stabilΓ¬ a Verona e iniziΓ² a lavorare negli ospedali locali. La sua dedizione e abilitΓ  lo portarono rapidamente a distinguersi. Nel 1854, fu nominato medico d’ufficio della Direzione delle Ferrovie, un ruolo che comportava una grande responsabilitΓ  nella cura dei lavoratori ferroviari. Nel 1861, assunse la direzione dell’Ospizio Provinciale degli Esposti e MaternitΓ  di Verona, dove rimase fino al 1888. Durante questo periodo, Agostini introdusse numerose innovazioni che migliorarono le condizioni di vita degli ospiti dell’ospizio, dimostrando una straordinaria capacitΓ  organizzativa e un profondo senso di umanitΓ .
Antonio Agostini fu un autore prolifico e un ricercatore instancabile. La sua prima grande opera fu una dissertazione in latino sul medico umanista NicolΓ² Leoniceno, scritta nel 1844. Questo segnΓ² l’inizio di una lunga carriera accademica caratterizzata da numerose pubblicazioni su vari argomenti medici.
Tra i suoi lavori piΓΉ importanti vi sono studi sulla contrattura e l’anchilosi del ginocchio, il parto prematuro, l’aborto provocato e il virus sifilitico. Le sue ricerche erano sempre orientate a trovare soluzioni pratiche ai problemi medici dell’epoca, concentrandosi sulla prevenzione e il trattamento efficace delle malattie.
Agostini scrisse anche osservazioni sulla costituzione fisica della popolazione della provincia di Verona e condusse studi sui trovatelli e sulle case di maternitΓ  in Germania. Questi lavori dimostrano il suo profondo interesse per la salute pubblica e il benessere delle comunitΓ , nonchΓ© la sua capacitΓ  di applicare metodi scientifici rigorosi alla ricerca medica.
Il lavoro di Antonio Agostini fu ampiamente riconosciuto, sia a livello nazionale che internazionale. Fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia, un prestigioso riconoscimento per i suoi contributi alla medicina. La sua carriera accademica culminΓ² con la nomina a membro effettivo dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona nel 1871. In questo ruolo, si distinse per la sua attivitΓ  scientifica e per il suo servizio come presidente dal 1881 al 1883.
Agostini dedicΓ² gran parte della sua vita alla salute pubblica. Fu presidente del Comitato Sanitario Veronese e dell’Associazione per gli Ospizi Marini, organizzazioni che miravano a migliorare le condizioni sanitarie della popolazione. Le sue ricerche contribuirono a migliorare la pratica medica e le politiche sanitarie dell’epoca. Fu un precursore nel campo dell’igiene pubblica, e molte delle sue raccomandazioni sono ancora rilevanti oggi. Agostini scrisse su una vasta gamma di argomenti. Tra le sue pubblicazioni piΓΉ importanti vi sono studi sui trovatelli e le case di maternitΓ  in Germania, il governo degli esposti, l’Ospizio Provinciale degli Esposti e MaternitΓ  di Verona e quello di Milano. Inoltre, scrisse massime di igiene popolare e osservazioni mediche e medico-veterinarie per la provincia di Verona.
Le sue lettere su Recoaro e una cantica sul colera del 1855, così come il sunto delle lezioni sulla flebite del Prof. G. Pacchiotti, sono testimonianze del suo impegno a divulgare conoscenze mediche. Questi scritti sono ancora considerati fondamentali per lo studio della storia della medicina e della salute pubblica.
Antonio Agostini era noto per il suo impegno e la sua passione per la medicina. La sua attivitΓ  non si limitava alla pratica medica, ma includeva anche l’insegnamento e la ricerca. Fu consigliere comunale a Verona per un decennio, influenzando le politiche sanitarie locali.
La sua nomina a membro dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona nel 1871 e il suo ruolo di presidente testimoniano il rispetto e l’ammirazione che i suoi colleghi avevano per lui. La sua attivitΓ  scientifica copriva una vasta gamma di argomenti, dalle malattie infettive alla salute materna e infantile.
L’ereditΓ  di Antonio Agostini Γ¨ vasta e duratura. La sua dedizione alla cura dei piΓΉ vulnerabili e il suo impegno per migliorare la salute pubblica sono esempi di come la passione e l’impegno possano avere un impatto duraturo sulla societΓ .
Agostini Γ¨ ricordato non solo per le sue scoperte scientifiche, ma anche per la sua umanitΓ  e il desiderio di migliorare la vita degli altri. Il suo lavoro negli ospedali di Verona e il suo impegno nella salute pubblica hanno lasciato un segno indelebile nella storia della medicina italiana.
Antonio Agostini Γ¨ stato un vero pioniere della medicina. La sua ereditΓ  continua a vivere attraverso le istituzioni e le persone che traggono ispirazione dal suo lavoro e dai suoi ideali.

Umberto Ravagnani

FONTI: – Necrologio di Antonio Agostini redatto dal segretario dell’Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio di Verona, Giuseppe Biadego, 16 marzo 1909 (Biblioteca Bertoliana – Vicenza).
– Archivio storico dell’Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere di Verona.
FOTO: L’imponente portale d’ingresso di Palazzo Erbisti, sede dell’Accademia dell’Agricoltura, delle Scienze e delle Lettere di Verona.

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ARTURO COSTA

[401] ARTURO COSTA
Eroe delle Dolomiti e Pioniere d’Africa

Arturo Costa, nato a Montebello Vicentino, Γ¨ un nome che riecheggia nei corridoi della storia militare italiana come simbolo di eroismo e comando. Durante la Prima Guerra Mondiale, un conflitto che ridisegnΓ² il volto dell’Europa e segnΓ² profondamente l’umanitΓ , Costa si distinse per atti di coraggio straordinari che gli valsero due medaglie al valore.1 Questo conflitto, che si protrasse dal 1914 al 1918, vide scontrarsi le maggiori potenze mondiali, trasformando il paesaggio europeo in un vasto campo di battaglia.
Il 21 maggio 1916, nei pressi del Monte Sief nelle Dolomiti, tra la Val Badia e l’Ampezzano in territorio veneto, Arturo Costa, allora Capitano e aiutante maggiore dei Bersaglieri, guidΓ² i suoi uomini in un attacco notturno. Le Dolomiti, con i loro ripidi pendii e le valli strette, erano un teatro di guerra estremamente difficile, dove le truppe italiane e austro-ungariche si contendevano ogni metro di terra. L’infuriare del fuoco nemico e il lancio di bombe a mano misero a dura prova la linea degli assalitori, che cominciΓ² a cedere. Con grande energia e coraggio, Arturo riuscΓ¬ a fermare, riordinare e rinviare in posizione i militari dispersi, garantendo la prosecuzione dell’assalto. Questo gesto eroico gli valse la Medaglia di Bronzo, conferitagli il 9 dicembre 1916.
Un altro atto di straordinario coraggio avvenne l’11 luglio 1917, vicino a Colbricon Grande, nella Val Cismon al confine tra Veneto e Trentino. Arturo Costa, ormai Maggiore del Reggimento Bersaglieri, affrontΓ² un violento attacco notturno. Per raggiungere rapidamente la posizione, utilizzΓ² una teleferica attraverso un terreno intensamente battuto dal fuoco nemico di artiglieria e bombarde. Mentre impartiva ordini per il contrattacco, fu investito dallo scoppio di un deposito di esplosivi e gravemente ferito al volto. Nonostante il dolore lancinante e l’invaliditΓ  temporanea, rifiutΓ² il trasporto in barella e, dimostrando una forza d’animo incredibile, scese a piedi al posto di medicazione per non impressionare negativamente i suoi bersaglieri. Questo atto di nobiltΓ  e resistenza gli valse la Medaglia d’Argento, assegnatagli il 20 giugno 1918.
La Prima Guerra Mondiale fu uno dei conflitti piΓΉ devastanti della storia umana, coinvolgendo le principali potenze mondiali in una guerra totale che causΓ² milioni di morti e cambiΓ² radicalmente la mappa geopolitica dell’Europa. Gli scontri sul fronte italiano, in particolare nelle Dolomiti, furono caratterizzati da una guerra di trincea estremamente dura, con condizioni ambientali e climatiche avverse che rendevano ogni avanzata estremamente costosa in termini di vite umane.
Le battaglie in alta montagna, come quelle in cui Arturo Costa si distinse, richiedevano non solo una straordinaria resistenza fisica ma anche un’immensa determinazione e coraggio. I soldati dovevano affrontare non solo il nemico, ma anche il freddo estremo, le valanghe e le difficoltΓ  di approvvigionamento. In questo contesto, la leadership e il coraggio di uomini come Arturo Costa erano cruciali per mantenere alto il morale delle truppe e garantire il successo delle operazioni militari.
Dopo la fine del conflitto, l’Europa era in rovina, con intere generazioni segnate dalla guerra. Molti veterani, come Arturo Costa, cercavano nuove opportunitΓ  lontano dalle devastazioni del continente. Fu cosΓ¬ che Arturo decise di emigrare in Africa, una terra che aveva giΓ  conosciuto e che stava vivendo uno straordinario boom economico.
Arturo si stabilΓ¬ a Usumbura, nell’allora Congo Belga, oggi Bujumbura, capitale del Burundi. Fondata nel 1897 come posto militare tedesco, Usumbura si sviluppΓ² notevolmente sotto la colonizzazione belga, diventando un importante centro commerciale e porto lacustre con esportazioni di cotone, caffΓ¨ e pelli. La cittΓ , situata sulla sponda nord-orientale del lago Tanganica, rifletteva l’influenza architettonica e urbanistica belga, con settori industriali fiorenti nel tessile, alimentare, meccanico, cementiero e calzaturiero.
La decisione di Arturo Costa di trasferirsi in Africa dopo la guerra rappresenta la ricerca di un nuovo inizio in una terra di opportunitΓ . In Africa, Arturo trovΓ² un luogo dove poteva contribuire allo sviluppo e alla crescita di una regione in rapida trasformazione. La sua presenza a Usumbura Γ¨ testimonianza del legame tra l’Europa e l’Africa durante il periodo coloniale e post-coloniale, e del ruolo degli italiani nell’espansione e nello sviluppo delle colonie.
La storia di Arturo Costa si intreccia con quella del nipote Pierantonio Costa, un altro illustre membro della famiglia Costa di Montebello Vicentino. Pierantonio, noto per il suo ruolo durante il genocidio in Ruanda del luglio 1994, Γ¨ stato descritto come un β€œuomo giusto” per aver salvato centinaia di vite. Montebello il 4 giugno del 2022 gli ha dedicato, con una solenne cerimonia, la nuova palestra.2 Le storie di questi due uomini mostrano come la famiglia Costa abbia lasciato un’impronta significativa sia in Europa che in Africa, attraverso atti di coraggio e altruismo.
Usumbura, che oggi conosciamo come Bujumbura, era un fulcro di attivitΓ  durante la colonizzazione belga del Congo. La cittΓ , fondata come avamposto militare tedesco, crebbe sotto l’amministrazione belga, diventando un centro di importanza strategica e commerciale. La colonizzazione belga lasciΓ² un’impronta significativa nella regione, con infrastrutture che continuarono a influenzare il paese ben oltre la fine del dominio coloniale.
L’ereditΓ  di Arturo Costa Γ¨ una storia di coraggio, determinazione e dedizione che va oltre i confini del tempo e dello spazio. Le sue azioni durante la Prima Guerra Mondiale e la sua vita in Africa sono testimoni di come un singolo individuo possa fare la differenza. Arturo ha lasciato un segno indelebile nella storia militare italiana e nella comunitΓ  di Usumbura, un esempio duraturo di guida e sacrificio.
La vita di Arturo Costa, dalla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale alla sua esperienza in Africa, Γ¨ una storia di dedizione, sacrificio e adattamento. Durante il conflitto, Costa non solo si distinse per il suo valore sul campo di battaglia, ma anche per la sua capacitΓ  di ispirare e guidare i suoi uomini nei momenti di crisi. La sua abilitΓ  nel mantenere la calma sotto il fuoco nemico e la sua decisione di rifiutare l’assistenza medica per non demoralizzare i suoi soldati sono esempi di leadership esemplare.
Arturo Costa Γ¨ stato un vero uomo di frontiera, non solo nei campi di battaglia europei, ma anche nel suo impegno a costruire una nuova vita in Africa. La sua storia Γ¨ un ponte tra due mondi, un collegamento tra il passato tumultuoso dell’Europa e le promesse del futuro africano. Arturo rappresenta tutti quei pionieri che, con coraggio e determinazione, hanno cercato nuove opportunitΓ  lontano dalla loro terra natale, contribuendo in modo significativo alle comunitΓ  in cui si sono stabiliti.
La vita di Arturo Costa Γ¨ un promemoria del potere della volontΓ  umana e dell’importanza di mantenere i propri valori anche nelle circostanze piΓΉ difficili. Il suo viaggio da Montebello Vicentino alle Dolomiti, fino al cuore dell’Africa, racconta di un uomo che non ha mai smesso di lottare e di sognare, ispirando le generazioni future a perseverare nei loro ideali.

Umberto Ravagnani

NOTE: 1) Secondo una ricerca di OTTORINO GIANESATO, Arturo Costa Γ¨ stato inizialmente omesso dall’elencazione dei soldati dell’Esercito Italiano perchΓ©, secondo le liste di leva, risultava renitente. Certamente si tratta di un errore commesso dal Distretto Militare dell’epoca. Durante la Grande Guerra Γ¨ il soldato montebellano di grado piΓΉ alto nell’Esercito (MAGGIORE), inferiore solo al Generale Giuseppe Vaccari.

DAL SUO FOGLIO MATRICOLARE


LEGGI...

COSTA ARTURO, matricola n. 1704, volontario con la classe 1873.
Figlio di Giuseppe e Pianton Teresa, nato a Montebello Vicentino il 28/4/1876, studente.
1/12/1893: Soldato volontario nel 60Β° Reggimento Bersaglieri – Plotone Allievi Sergente per la ferma di anni 5.
31/5/1894: Promosso Caporale.
16/2/1896: Destinato alle Regie Truppe partenti per l’Africa nel Battaglione Bersaglieri – partito il 19/2/1896.
28/6/1896: CessΓ² di far parte delle Regie Truppe d’Africa per riduzione d’organico.
30/6/1896: Nel 6Β° Reggimento Bersaglieri con l’obbligo di ultimare la ferma in corso.
31/10/1898: Nella Scuola Militare – 5/1/1899 ammesso alla rafferma triennale nel 60Β° Reggimento Bersaglieri.
8/9/1900: SOTTOTENENTE nel 10Β° Reggimento Bersaglieri (allo scoppio della guerra 1915-18 Γ¨ CAPITANO).

Residente a Montebello Vicentino (morto a Usumbura – Congo Belga il 25/9/1943). Decorato con una medaglia d’Argento e una di Bronzo al valor militare nella guerra 1915-18.

2) Per la storia di suo nipote Pierantonio Costa vedi l’articolo n. [277] PIERANTONIO COSTA del 17-03-2022.
FOTO: Il Monte Sief, un teatro di guerra estremamente difficile, dove Arturo fu decorato con la Medaglia di Bronzo. Poco lontano, in secondo piano il Col di Lana.
BIBLIOGRAFIA:
– Istituto del Nastro Azzurro – Sezione di Vicenza, “I VICENTINI DECORATI AL VALOR MILITARE nella guerra 1915-1918“, Marostica, 1920.
– O.Gianesato, “I soldati di Montebello chiamati alle armi nella guerra 1915-18“, Montebello Vicentino, 2008.
ALTRE FONTI: Archivio Parrocchiale di Montebello Vicentino (archivista Riccarda Mescola).

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UNA CURVA MORTALE

[400] UNA CURVA MORTALE
Una cronaca di tragedie e speranza

CosΓ¬ scriveva il Corriere della Sera del 7 ottobre 1967 in riferimento alla strada statale 11 all’altezza della cosiddetta “curva de Maieto“, a Montebello Vicentino:
Β« Una curva mortale. Ippocastani scortecciati, paracarri divelti o spezzati, autovetture accartocciate, autocarri ribaltati, autotreni che riversano Il loro carico sulla strada: Questi e altri incidenti spesso mortali si ripetono con sconcertante frequenza nella tristemente famosa curva dl Montebello Vicentino. Intervento dl autoambulanze, carri attrezzi, polizia, carabinieri col solito rito dei rilievi constatazioni, Interruzioni, misure, documentazioni fotografiche: ma ben altre misure si richiedono. Anzitutto quelle elementari di prevenzione rafforzando la segnaletica. Quanto agli autisti che si accingono ignari ad abbordare la curva, specie se viscida per la pioggia, non Γ¨ da addebitare loro Integralmente lo scarso uso di prudenza. I paracarri, scrupolosamente rimpiazzati dopo ogni incidente, persistono inconsapevoli ad assolvere all’ingrata e assurda funzione di baluardi invalicabili e micidiali. E gli incidenti si ripetono con angosciosa allucinante monotonia sulla curva di Montebello Vicentino detta ormai β€œla tomba degli autisti”. Β»
Nel 1920, Igino Peruffo, sindaco di Montebello Vicentino dal 1920 al 1923, decise di modernizzare le infrastrutture del paese, inclusa la costruzione della circonvallazione. Questo progetto, sebbene nato con buone intenzioni, si rivelΓ² col tempo una trappola mortale. La cosiddetta “curva de Maieto”Β situata nei pressi dell’ex ristorante β€œAlla Stazione”, di Cesare Maggio, divenne famigerata per la sua pericolositΓ .
Arrigo Peruffo, figlio dell’ex sindaco, in un’intervista rilasciatami nel 2014, ricordΓ² come suo padre avesse avuto grandi speranze per la circonvallazione. β€œMio padre voleva migliorare la viabilitΓ  e ridurre il traffico nel centro del paese,” disse Arrigo β€œnon poteva immaginare che quella curva sarebbe diventata una delle piΓΉ pericolose della regione.”
Gli incidenti su quella curva rovinosa sono stati così frequenti da diventare un triste rito quotidiano per i soccorritori locali.
Le immagini dei disastri stradali erano quasi sempre le stesse: auto accartocciate, camion ribaltati, carichi sparsi sull’asfalto. E sempre, a ogni incidente, il solito rituale: intervento di ambulanze, carri attrezzi, polizia e carabinieri. Ma la vera tragedia era l’inevitabilitΓ  di questi eventi.
Molti fattori contribuirono a rendere quel tratto di strada a gomito così pericoloso. La segnaletica inadeguata, la scarsa visibilità nelle giornate di pioggia e la manutenzione insufficiente della strada erano solo alcune delle cause. Ma forse il problema più grande era la conformazione stessa della curva: stretta e con un angolo tale da sorprendere anche gli autisti più cauti.
Nel corso degli anni, vari tentativi sono stati fatti per migliorare la sicurezza della curva. Furono installati paracarri e segnali di avvertimento, ma nulla sembrava sufficiente. Ogni volta che un incidente accadeva, i paracarri venivano sostituiti, solo per essere nuovamente distrutti poco dopo. Le autoritΓ  locali erano impotenti di fronte a quella che sembrava una maledizione.
Solo a partire dagli anni β€˜80, dopo altri tragici incidenti, le autoritΓ  regionali decisero di intervenire in modo piΓΉ deciso. Venne ridisegnata la curva, allargata la strada e migliorata la segnaletica. Sebbene questi interventi avessero ridotto il numero di incidenti, la reputazione della β€œcurva mortale” rimase.
Oggi, la “curva di Maieto”Β Γ¨ ancora lΓ¬, testimone silenziosa di decenni di tragedie. La strada Γ¨ piΓΉ sicura, ma il ricordo di tutte le vite perse Γ¨ ancora vivo nella memoria della comunitΓ .
La storia della curva di Montebello Vicentino è un monito su come le buone intenzioni possano portare a conseguenze inaspettate e tragiche. È anche un esempio di come la determinazione di una comunità possa portare a cambiamenti significativi. Mentre guardiamo al futuro, è essenziale ricordare le lezioni del passato e continuare a lavorare per strade più sicure per tutti.

Umberto Ravagnani

FONTI: Intervista ad Arrigo Peruffo nel 2014 e Corriere della Sera del 7 ottobre 1967.
FOTO: La famigerata “curva de Maieto” in una cartolina postale degli anni 40 del Novecento (collezione privata Umberto Ravagnani).

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IL VIOLINO E IL DESTINO

[399] IL VIOLINO E IL DESTINO
Walter Starkie e la magia degli zingari

Durante la prima Guerra Mondiale, a Montebello Vicentino, c’era un campo di prigioniaΒ situato nei pressi della Chiesetta di Sant’Egidio, a ridosso del torrente GuΓ . Era gestito dall’esercito inglese e veniva utilizzato principalmente per far svolgere lavori di ogni tipo ai prigionieri. Walter Starkie, noto studioso, scrittore e musicista irlandese, trovΓ² una connessione profonda e duratura con un gruppo di zingari ungheresi proprio in questo campo di detenzione.
Affetto da asma cronica, Starkie fu inviato nel clima piΓΉ mite dell’Italia, dove si unΓ¬ all’YMCA1 per fornire intrattenimento alle truppe britanniche. Nel 1918, durante il suo girovagare nel Veneto, approdΓ² al campo di prigionia di Montebello, dove incontrΓ² cinque prigionieri di guerra ungheresi, zingari di nascita, e la sua vita cambiΓ² per sempre. Questa Γ¨ la vera storia di quell’episodio sconvolgente.
Montebello Vicentino era una cittadina che Walter Starkie avrebbe conosciuto intimamente. Un giorno, dopo un recital di violino in una baracca dell’YMCA, notΓ² cinque uomini che indugiavano vicino alla porta. Questi uomini erano prigionieri austriaci impiegati in lavori pesanti dalle autoritΓ  britanniche. Starkie riconobbe subito i tratti distintivi degli zingari nei loro occhi penetranti e nella pelle scura come il mogano.
Uno di loro, facendosi portavoce del gruppo, chiese di esaminare il violino di Starkie. Lo prese con una reverenza quasi religiosa, esaminandolo come un tesoro inestimabile. I suoi compagni si affollarono attorno a lui, parlando animatamente in una lingua che Starkie immaginava fosse magiaro. Nei minuti successivi, studiarono il violino con attenzione maniacale, pizzicando le corde e manipolando l’archetto con gesti precisi. Il portavoce del gruppo spiegΓ² a Starkie che loro erano musicisti Rom arruolati nell’esercito austriaco. Chiesero a Starkie di intercedere presso l’ufficiale britannico per ottenere della legna da vecchie casse da imballaggio. La ragione era semplice: volevano costruire dei violini per poter suonare. La musica, per loro, non era solo un passatempo, ma una necessitΓ  vitale. Per gli zingari il suonare il violino rappresentava la danza della vita. Senza musica, un prigioniero zingaro ungherese avrebbe rischiato di morire di malinconia. Starkie, toccato dalla loro richiesta, si recΓ² immediatamente al deposito piΓΉ vicino, a Tavernelle, raccolse tutto il necessario: casse vuote, fili, resina e consegnΓ² loro il tutto.
Circa dieci giorni dopo, Starkie tornΓ² a Montebello e rimase stupefatto nel vedere che i cinque zingari avevano trasformato le casse da imballaggio in violini. La loro musica, selvaggia e diabolica, sembrava permeare l’aria stessa. I ritmi frenetici infettavano persino gli impassibili soldati britannici, che si ritrovavano a danzare come dervisci.2 Il colonnello del campo dovette intervenire per limitare le esibizioni dei violinisti zingari, timoroso che la disciplina potesse venir meno. I violini, costruiti in modo rudimentale, avevano un potere ipnotico. Starkie, profondamente affascinato, si ritrovava a fissarli, quasi in trance. Uno dei violinisti, di nome Farkas, lo invitΓ² a visitare la Transilvania, la terra natale dei violini. Farkas gli raccontΓ² una storia miracolosa sull’origine del violino, legata al diavolo e a una fanciulla della Transilvania.
« Una giovane e bella fanciulla della Transilvania, evitata per essere ritenuta stregata, sospirava incessantemente per un contadino che non la notava. Una zingara le offrΓ¬ uno strumento magico, ma a un costo terribile: β€œDevi darmi tuo padre, tua madre e i tuoi quattro fratelli.” La ragazza, stregata e disperata, accettΓ² senza esitazione. La zingara, che in realtΓ  era il diavolo, creΓ² il violino dal corpo del padre, l’arco dai capelli della madre e le corde dai quattro fratelli. β€œSuona questo violino nell’orecchio del giovane,” disse, β€œe lui ti seguirΓ  ovunque.” La giovane obbedΓ¬, e il contadino, incantato, la seguΓ¬. Felici, stavano tornando a casa quando il diavolo apparve reclamando il suo tributo: β€œVenite con me all’inferno.” E cosΓ¬ fu. Il violino rimase nella foresta finchΓ© un giorno uno zingaro lo trovΓ². Da allora, suona in tutto il mondo, facendo impazzire chiunque lo ascolti e custodendo il segreto dello strumento maledetto. Β»
Questa storia, intrisa di mistero e magia, affascinΓ² Starkie, che sentΓ¬ una relazione sempre piΓΉ forte con il mondo degli zingari. Farkas insegnΓ² a Starkie molte melodie magiare, e presto i due svilupparono un rapporto profondo. Un giorno, Farkas chiese a Starkie di diventare suo fratello di sangue. Dopo una cerimonia solenne, i due condivisero il loro sangue, sancendo un legame che avrebbe segnato la vita di Starkie per sempre. Farkas gli diede una moneta d’argento e Starkie avrebbe dovuto regalare a lui, entro 10 anni, una moneta dello stesso metallo per completare la cerimonia.
Negli anni seguenti, Starkie continuΓ² a sentire la presenza di Farkas. Anche durante le sue lezioni universitarie, le diaboliche melodie di Farkas invadevano la sua mente, risvegliando in lui il desiderio di tornare alle pianure ungheresi.
Nel marzo del 1929, Starkie ebbe un sogno telepatico in cui vide Farkas che lo chiamava disperatamente. SentΓ¬ il bisogno di mantenere la promessa fatta dieci anni prima. Decise quindi di partire per l’Ungheria e la Transilvania, alla ricerca del suo fratello di sangue. Durante il viaggio, Starkie contattΓ² molti violinisti zingari, ma non trovΓ² mai Farkas. ScoprΓ¬ poi da un violinista zingaro di nome Rostas che Farkas era morto di febbre proprio la notte del 19 marzo 1929, la stessa notte del suo sogno. Rostas divenne un caro amico di Starkie, e insieme vagarono per la campagna, condividendo storie e musiche. Starkie comprese che la connessione tra lui e Farkas era piΓΉ profonda di quanto avesse mai immaginato, un legame che trascendeva il tempo e lo spazio.
Walter Starkie raccontΓ² la sua avventura nel libro β€œRaggle-Taggle”3, pubblicato nel 1933 e, in forma piΓΉ approfondita, nella sua autobiografia β€œScholars and Gypsies”, pubblicata nel 1963. La sua storia con i cinque zingari ungheresi Γ¨ un racconto di magia, musica e destino. È la testimonianza di come la musica possa unire mondi diversi e creare legami indissolubili.
La vita di Starkie fu per sempre cambiata da quell’incontro a Montebello, un incontro che gli fece scoprire la potenza della musica e la profonditΓ  dei legami umani. La sua storia continua a ispirare, ricordandoci che la magia puΓ² trovarsi nei luoghi piΓΉ inaspettati e che la musica ha il potere di trasformare le nostre vite.

Umberto Ravagnani

FONTE: Libera traduzione di Umberto Ravagnani dall’autobiografia di Walter Starkie “Scholars and Gypsies“, London, 1963. Un grazie all’amico Luca Balsemin per avermi dato informazioni sul reperimento del libro di Walter Starkie.
NOTE: 1) Y.M.C.A = Young Men’s Christian Association. È un’associazione cristiana per giovani fondata da George Williams nel lontano 1844. Era nata per tenere i giovani lontano dalla cattiva strada (alcool, droghe, locali malfamati, prostitute. gioco d’azzardo illegale).
2) La danza frenetica dei dervisci ha le sue origini in Turchia nel XIII secolo.
3) Raggle-Taggle Γ¨ una ballata tradizionale irlandese e il titolo di uno dei libri di Walter Starkie.
FOTO: Uno dei cartelloni che Walter Starkie usava nelle sue esibizioni.

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MEMORIE DI ZONDERWATER

[398] MEMORIE DI ZONDERWATER
Un racconto di prigionia e speranza nella Seconda Guerra Mondiale

Oggi vi raccontiamo una storia poco conosciuta della Seconda Guerra Mondiale, che si svolge in un campo di prigionia molto lontano dall’Italia, a Zonderwater, in Sudafrica. Questa vicenda ci viene narrata dalla nostra concittadina Elisa Longarato, che negli ultimi anni ha dedicato tempo e passione a raccogliere testimonianze e notizie per ricostruire la prigionia di suo padre Vittorio in quel luogo.
Elisa ha partecipato, il 21 marzo 2024, a un evento organizzato dalla ‘The University of Sidney‘ e dalla ‘New York University‘ che si Γ¨ tenuto al ‘John D. Calandra Italian American Institute‘ di New York, collegandosi in remoto da casa sua. In quell’occasione, ha raccontato con emozione e in inglese la storia della prigionia di suo padre Vittorio in Sudafrica durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha descritto le difficili condizioni di vita, la lontananza dalla patria e dagli affetti e come suo padre e i suoi compagni riuscirono a trovare forza e speranza in una situazione cosΓ¬ disperata.
Circa un mese dopo, Elisa Γ¨ stata invitata in persona a un altro evento a New York che si Γ¨ svolto in due giorni. Il 23 aprile 2024 presso il ‘Center for Italian Modern Artβ€˜ (CIMA ) e il 24 aprile presso la ‘NYU Casa Italiana Zerilli-MarimΓ²‘. Il primo giorno, l’evento era intitolato β€œPreservare i ricordi della prigionia di guerra e la loro ereditΓ ” e aveva l’obiettivo di mantenere viva la memoria di queste esperienze dolorose ma significative. Durante questo incontro, Elisa ha riproposto, insieme ad altri testimoni collegati da vari Paesi del mondo, la storia di suo padre Vittorio, condividendo aneddoti e dettagli che hanno reso la narrazione ancora piΓΉ intensa e coinvolgente.
Il secondo giorno il tema era ‘Suoni di prigionia: Musica dei prigionieri italiani durante la seconda guerra mondiale‘. Dopo la presentazione e il concerto del Maestro Francesco Lotoro su musiche composte in prigionia, si Γ¨ tenuta una lezione con gli studenti della New York University. I ragazzi hanno osservato con attenzione i libri, le lettere, gli oggetti che Vittorio si era portato dalla prigionia; in particolare il banjo-mandolino costruito con mezzi di fortuna lavorando di notte. Hanno espresso le loro opinioni e fatto domande alle quali Elisa ha risposto raccontando particolari della vita in guerra e prigionia di suo padre. Elisa Γ¨ stata molto colpita dall’interesse sulla storia dei prigionieri italiani dei ragazzi β€œamericani” provenienti da vari paesi del mondo.
La testimonianza di Elisa Γ¨ fondamentale per mantenere vivi i ricordi delle difficoltΓ  affrontate dai prigionieri di guerra e per comprendere meglio la nostra storia collettiva. L’impegno di Elisa nel preservare questi ricordi rappresenta un omaggio alla resilienza e al coraggio di suo padre e di tutti coloro che hanno condiviso la sua sorte. Grazie a persone come Elisa, queste storie non vengono dimenticate e continuano a ispirare le generazioni future, ricordando a tutti noi il valore della memoria e dell’umanitΓ  anche nei momenti piΓΉ bui.
Ecco il suo racconto, il 21 marzo, da casa sua in collegamento da remoto e poi, il 23 aprile, da New York:

IL RACCONTO EMOZIONANTE DI ELISA TRA MONTEBELLO E NEW YORK


LEGGI...

Β« Sono Elisa Longarato e ringrazio Elena Bellina (New York University) e Giorgia AlΓΉ (Sidney University) per l’invito. È un onore per me partecipare a questo incontro. Mi scuso in anticipo per il mio pessimo inglese.
Vi racconterΓ² di mio padre, Vittorio Longarato, che combattΓ© in Nord Africa nell’8Β° Rgt. Bersaglieri, durante la Seconda Guerra Mondiale, e della sua prigionia in Egitto e poi in Sud Africa fino al 1947.
Vorrei riassumere il percorso che mi ha portato a dedicarmi alla β€œmissione” di rintracciare la prigionia di mio padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Fino a circa quindici anni fa non avevo mai sentito il nome β€œZonderwater”. Mio padre ha parlato poco della guerra e pochissimo della sua prigionia, solo negli ultimi anni della sua vita ha raccontato qualcosa ai miei fratelli e pezzo dopo pezzo ora stiamo ricostruendo la sua storia. Sapevo solo che era stato ferito in una battaglia nel deserto tra Libia ed Egitto nel 1941, e che lo credevano morto. Fu salvato da un medico tedesco, anche lui prigioniero, che lo tirΓ² fuori dal mucchio dei cadaveri dei soldati. Dopo due mesi trascorsi al General Hospital di Geneifa in Egitto, e un altro mese nelle β€œgabbie” egiziane, Γ¨ stato trasferito in Sud Africa, prima vicino a Durban e poi vicino a Pretoria. Quando tornΓ² a casa, nel febbraio del 1947, aveva con sΓ© una valigia di latta (fatta con barattoli di marmellata) piena di libri provenienti dalla biblioteca del campo allora quasi abbandonato, una valigia di cartone con alcuni oggetti personali, alcuni vestiti, una coperta e il suo banjo-mandolino e i quaderni con la musica che scrisse a Zonderwater.
RealizzΓ² il banjo-mandolino con il legno di una panca del campo, con la pelle di un coniglio, la ghiera di una bomba, il dorso di un pettine, mezzi bottoni di madreperla e fili metallici per le corde, presi dai cavi dei freni delle motociclette.
Circa quindici anni fa ho iniziato a leggere e a riordinare centinaia di lettere che scrisse durante i suoi 10 anni lontano da casa (1937-1947 militare-guerra-prigionia). Nel 2010 ho letto il libro β€œI Diavoli di Zonderwater” di Carlo Annese, (scrittore e giornalista sportivo che era stato in Sud Africa per i Mondiali di calcio).
Mi resi conto che mio padre era stato a Zonderwater!
Poi per caso ho scoperto che in un libro scritto da un Generale dell’8Β° Rgt. Bersaglieri viene menzionata l’azione di mio padre nella battaglia denominata β€œOperazione Brevity” avvenuta il 15 maggio 1941 a Sollum-Capuzzo-Halfaya, dove mio padre rimase gravemente ferito. Ho saputo che il campo di prigionia in Egitto era il Campo 306 a Geneifa e che i campi in Sud Africa erano a Pietermaritzburg e Zonderwater.
Ho fatto qualche ricerca online e non c’era niente su Zonderwater. Poi ho trovato un gruppo Facebook appena aperto su Zonderwater a cui mi sono iscritta e nel novembre 2011 sono andata con altri membri del gruppo in Sud Africa. Abbiamo incontrato il presidente dell’Associazione Zonderwater Block ex POW, Sig. Emilio Coccia. Abbiamo visitato l’area in cui si trovavano i due campi e abbiamo partecipato alla cerimonia la prima domenica di novembre al cimitero di Zonderwater (era il 70Β° anniversario dell’apertura del campo).
Poi, ho deciso di creare www.zonderwater.com, un sito web collegato alla nostra pagina Facebook, dove avrei potuto creare un database con informazioni e immagini sulla prigionia di guerra italiana e sui soldati detenuti in Sud Africa, dove i discendenti di altri prigionieri avrebbero potuto pubblicare informazioni e foto dei loro parenti. Queste informazioni sono soggette a revisione e approvazione. Mio nipote mi ha aiutato a creare il sito web.
Sono rimasta in contatto con Emilio Coccia. Finora, attraverso il sito e la pagina Facebook, ho ricevuto migliaia e migliaia di email con richieste di informazioni da parte di parenti di ex prigionieri di guerra. Di solito li consiglio su come svolgere le loro ricerche e li metto in contatto con Emilio Coccia per avere informazioni sui loro parenti registrati nell’archivio Zonderwater dell’Associazione.
Sono tornata in Sud Africa nel novembre 2017 con un altro gruppo. Durante la cerimonia ho avuto l’onore di deporre una corona insieme a Paolo Ricci, allora l’ultimo prigioniero di guerra vivente di Zonderwater in Sud Africa (morto nel 2022). Era il 70Β° anniversario della chiusura del campo (1947-2017). Ad oggi il gruppo Facebook conta circa 2.000 membri.
Ogni anno organizziamo un raduno (escluso il periodo pandemico). L’anno scorso abbiamo organizzato il nostro incontro annuale a Roma ed Γ¨ stata la prima volta senza prigionieri di guerra. Sfortunatamente, sono tutti morti. Emilio Coccia era presente come sempre.
Zonderwater Γ¨ ricordata come β€œLa cittΓ  del prigioniero”. Molti soldati italiani catturati dagli inglesi nell’Africa settentrionale e orientale furono imbarcati su navi dirette a Durban in Sud Africa. Una volta sbarcati venivano caricati sui treni con destinazione finale il campo di prigionia di Zonderwater.
Prima di raggiungere la loro destinazione, i prigionieri venivano fermati nel campo di transito di Pietermaritzburg, situato a 75 chilometri da Durban. Il campo ha funzionato come pronto soccorso, medico e struttura di controllo, lavaggio, disinfezione e ristoro. Quindi i prigionieri di guerra venivano rimessi sul treno diretto a Zonderwater.
Tuttavia, molti prigionieri rimasero a Pietermaritzburg per tutto il periodo di cattivitΓ . In alcuni periodi il campo ospitava fino a 8.000 uomini.
Zonderwater vicino a Cullinan (43 Km da Pretoria), il piΓΉ grande campo di prigionia di guerra costruito dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, ospitΓ² piΓΉ di 100.000 soldati italiani dall’aprile 1941 al gennaio 1947.
Nonostante la guerra fosse finita nel 1945, il campo venne chiuso solo nel 1947 a causa dei ritardi nel rimpatrio dei prigionieri. Tuttavia, molti ex prigionieri decisero di rimanere in Sud Africa.
L’avventura umana di Zonderwater parte dalla tendopoli del 1941, trasformata nel 1943 (con il colonnello Prinsloo) in quell’enorme e permanente centro abitato formato da mattoni rossi e costruzioni in legno destinato poi a diventare quasi una leggenda: 14 blocchi, ciascuno composto da 4 campi (56 in totale). Ogni campo ospitava 2.000 uomini, quindi, un blocco poteva ospitare 8.000 prigionieri. Nel complesso, Zonderwater aveva una capacitΓ  totale di 112.000 uomini.
Il 2 novembre 1947, un gruppo di ex prigionieri di guerra in Sud Africa tornΓ² sul posto per mantenere aperto il cimitero e organizzΓ² cerimonie commemorative. Questa struttura basata sul servizio volontario Γ¨ stata formalizzata nel 1965 con la fondazione dell’Associazione Zonderwater Block ex POW. L’attuale presidente dell’Associazione, Emilio Coccia, Γ¨ in carica dal 2000. Zonderwater Γ¨ stata visitata per la prima volta nel 2002 dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi.
Grazie.
Elisa Longarato Β»

FOTO: 1) Elisa Longarato racconta la storia di suo padre Vittorio dal “Center for Italian Modern Art“, a New York il 23 aprile 2024.
2) La valigetta con alcuni oggetti personali di Vittorio Longarato. Elisa, in occasione del suo intervento a New York ha esibito il banjo-mandolino costruito da suo padre durante la prigionia (cortesia Elisa Longarato).

Umberto Ravagnani

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GEMMA CENZATTI

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DUE VIVANDIERE AUSTRIACHE

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NASCE IL MERCATO A MONTEBELLO

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FRA LUIGI MARIA VERLATO

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L’ORIGINE DELLA CHIESA DI SELVA

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CASERME E SOLDATI A MONTEB.

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LA SAGA DEI MALTRAVERSO

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DON DOMENICO GIAROLO

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INGENTE PASSAGGIO DI PROPRIETΓ€

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ANTICHI MESTIERI A MONTEBELLO

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DON ANGELO CRASCO

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IL MATRIMONIO S’HA DA FARE

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L’AMBULANZA VOLANTE A MONTEB.

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DON GIROLAMO DALLA-BARBA

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STORIA DI ORDINARIA…BURO

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COGNOMI MOLTO LONGEVI

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CAMBIA LA MODA FEMMINILE

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IL SOGNO INFRANTO

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IN CERCA DI FORTUNA OLTRE…

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AUREOS 2001-2020 (SFOGLIA IL LIBRO) ------------------------------ AUREOS 2021-2022 (SFOGLIA IL LIBRO)

Gli articoli dal 2001 al 2020 compreso sono stati raccolti in un volume riccamente illustrato, disponibile presso la nostra redazione (AUREOS 2001-2020) e sono ancora consultabili online previa registrazione al sito. Il libro con la raccolta degli articoli del 2021 e 2022 sarΓ  disponibile a partire dal 17 febbraio 2024.


I LEGIONARI MONTEBELLANI

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