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PADRE GIORGIO M. ZEINI

[411] PADRE GIORGIO M. ZEINI
Un pellegrino della Fede

Padre Giorgio Maria Zeini, un frate paziente e ricettivo, servo di Maria e sacerdote dedicato, ha concluso il suo pellegrinaggio terreno martedΓ¬ 6 giugno 2023, alle ore 10:10, nella comunitΓ  di accoglienza e cura dell’Istituto Missioni a Vicenza. Dopo una lunga agonia, accompagnato dai fratelli e dagli operatori, la leucemia acuta ha messo fine alla sua vita. In quel momento, i fratelli stavano celebrando la liturgia delle lodi. Aveva 73 anni di vita, di cui 55 come frate e 46 come sacerdote.
Frate Giorgio nacque a Montebello Vicentino il 28 settembre 1949. Fu battezzato dal Sac. Giuseppe Stella nella chiesa parrocchiale del paese il 9 ottobre seguente. Cresciuto in una famiglia umile, composta dal padre Silvio, contadino, e dalla madre Teresa Prando, casalinga, insieme a due fratelli, vivevano a Montebello Vicentino in Contrada Ca’ Sordis N. 16. All’etΓ  di sedici anni, Giorgio fu accolto tra i Servi di Maria nel seminario minore di Follina (TV). Durante lo scrutinio per il noviziato, scrisse di aver deciso di diventare religioso a undici anni, sentendo una particolare attrattiva, e di aver scelto i Servi di Maria perchΓ© era l’ordine che conosceva di piΓΉ e di cui conosceva alcuni religiosi. Dopo il probandato tra Follina e Isola Vicentina, venne ammesso al noviziato con una dichiarazione del maestro di formazione, fra Celio M. Marchesan, che lo descriveva come di indole buona, serena e generosa, preparato ad assumersi i doveri della vita comune, con una buona pietΓ  verso Dio e la Vergine Santissima, e dotato di discreta intelligenza e buona volontΓ . Trascorse il noviziato a Rovato (BS), concludendolo con la professione semplice il 15 settembre 1966, e confermΓ² il proprio impegno con la professione solenne a Roma il 1Β° giugno 1974. Ricevette il sacramento del presbiterato nel santuario di Monte Berico (Vicenza) l’11 aprile 1977, durante un rito presieduto dal vescovo diocesano Arnoldo Onisto.
Durante il suo cammino, Giorgio si descrisse con queste parole, prima della professione solenne: β€œCari fratelli nella fede, dopo aver riflettuto a lungo sulla serietΓ  dell’impegno che sto per assumermi di fronte a Voi e alla Chiesa e aver pregato per essere illuminato su quanto sto per fare, Vi chiedo di ammettermi alla professione solenne perchΓ© io possa partecipare piΓΉ pienamente alla vita dell’Ordine e vivere con pienezza la comunione e la caritΓ  con quanti sarΓ² chiamato a vivere e raggiungere cosΓ¬ la mia veritΓ  e libertΓ . Nel formulare questa richiesta, ritengo di essere libero e vero con me stesso. Sono inoltre cosciente del fatto che se vissuta in modo autentico la vita religiosa esige notevole impegno da parte mia, tuttavia sono anche convinto che la grazia di Dio e il fraterno aiuto dei fratelli verranno incontro alla mia fragilitΓ  e mi daranno la forza per essere fedele alla chiamata che avverto dentro di me” (Vicenza 26 aprile 1974). Visse nelle comunitΓ  di Milano/San Siro (1976-1978), Trieste (1978-1981; 1982-1985), Udine (1981-1982), Madonna di Tirano (1985-1990), Milano/San Carlo (1990-1991; 1993-1994; 2009-2012), Venezia/Sant’Elena (1991-1993; 1994-1996; 2006-2009), Pietralba (2012-2022), da dove si prodigava in servizio pastorale a Innsbruck (Austria). Nelle varie comunitΓ , Padre Giorgio servΓ¬ come parroco, priore e insegnante. Durante la sua vita religiosa, dimostrΓ² un impegno costante e una dedizione straordinaria, sempre pronto ad affrontare le sfide e le necessitΓ  delle comunitΓ  in cui veniva inviato. Era noto per il suo canto affascinante e preciso, tanto che a Pietralba era affettuosamente chiamato “padre Pavarotti”.
Frate Giorgio era anche un lettore appassionato, sempre aggiornato sugli avvenimenti piΓΉ importanti, sia a livello locale che internazionale. Amava profondamente l’Ordine dei Servi di Maria e indicava Maria, madre di Dio e madre nostra, come patrona e protettrice dell’ordine. Con l’aggravarsi della salute, giΓ  compromessa da varie patologie, il 14 maggio 2022 si trasferΓ¬ nella comunitΓ  dell’Istituto Missioni di Vicenza. La leucemia gli era stata diagnosticata circa due anni e mezzo prima, e affrontΓ² la malattia con fede e fiducia. Nonostante le cure e l’attenzione ricevute, la sua salute continuΓ² a deteriorarsi, e trascorse gli ultimi giorni della sua vita a letto, sempre piΓΉ silenzioso.
Il rito funebre si tenne venerdΓ¬ 9 giugno, alle ore 11:00, nella basilica di Monte Berico, gremita di familiari, conoscenti e pellegrini. Il priore provinciale, fra Giuseppe M. Corradi, presiedette la cerimonia, accompagnato da 26 concelebranti. Durante l’omelia, fra Corradi ricordΓ² l’amicizia e la dedizione di Padre Giorgio, elogiando il suo spirito di servizio e la sua profonda fede. Il priore condivise aneddoti personali e riflessioni toccanti, sottolineando come Giorgio fosse sempre pronto a rispondere alle necessitΓ  dell’Ordine, spesso anticipando le richieste del provinciale.
« Verso la fine della settimana scorsa sono andato a trovare p. Giorgio e l’ho salutato con gioia e lui ha risposto con serenitΓ  al mio saluto. Nel mio cuore io mi dissi: Non morire durante la mia assenza; se comunque il Signore ti chiamerΓ  proprio in questo tempo sappi che io tornerΓ² a casa subito perchΓ© desidero essere io a presiedere la santa messa delle tue esequie … Fra Giorgio Γ¨ stato piΓΉ volte priore di comunitΓ  e piΓΉ volte parroco. Ho elencato i vari nostri conventi e parrocchie in cui p. Giorgio Γ¨ stato perchΓ© aveva un carisma (dono) particolare. Quando sentiva che c’erano difficoltΓ  in un convento o parrocchia prima ancora che il provinciale gli chiedesse di spostarsi lΓ  lui chiedeva di andarci. La sua era una obbedienza giΓ  pronta prima ancora che gli venisse chiesta. Io una volta gli chiesi: Giorgio come mai cambi tanti conventi? Lui amichevolmente rispose che andava volentieri dove lui vedeva la necessitΓ  della sua presenza prima ancora che il provinciale glielo chiedesse. P. Giorgio Γ¨ stato sempre un ricercato confessore e un predicatore di eccellenza. Eccelleva ancor di piΓΉ nel canto. A Pietralba il popolo diceva: andiamo alla messa del padre Pavarotti. Il suo canto – oltre ad essere estremamente preciso – era anche affascinante insomma coinvolgeva i fedeli. P. Giorgio era un lettore accanito e si teneva sempre aggiornato su tutto. Anche ad Innsbruck dove lui Γ¨ stato varie volte per qualche mese per aiutare i confratelli Servi di Maria bastava chiedere a p. Giorgio quali fossero gli avvenimenti piΓΉ importanti del momento e lui rispondeva sempre con precisione sia che si trattasse di avvenimenti austriaci o italiani sia che si trattasse di avvenimenti del mondo. P. Giorgio amava l’Ordine e tutti i suoi frati ed indicava loro la patrona e protettrice dell’ordine Maria madre di Dio e madre nostra. Per questo noi possiamo dire grazie a p. Giorgio per essere stato a lungo con noi possiamo dire grazie al Signore che ce lo ha dato e possiamo dire grazie a Maria perchΓ© lo ha sempre sostenuto e protetto. AMENΒ Β».
Accompagnato dal priore della sua comunitΓ , Padre Giorgio Zeini Γ¨ stato sepolto nella tomba dei Servi di Maria nel cimitero di Vicenza. La sua ereditΓ  di fede, servizio e amore per l’Ordine dei Servi di Maria rimarrΓ  sempre viva nei cuori di coloro che lo conobbero e amarono. Le testimonianze e i saluti dei confratelli e degli amici non si fecero attendere. Francesco Rigobello di Follina ricordΓ²: β€œRicordo e ringrazio il fratello e amico Giorgio, uomo deciso, dedito allo studio e a tanta lettura di vari autori, paziente e mite fin dagli anni passati insieme a San Carlo di Milano, quando giΓ  seguiva terapie per problemi allora al cuore”. Antonio Santini aggiunse: β€œRingrazio il Signore per tutto il BENE che egli ha seminato nelle realtΓ  in cui visse e per le tante amicizie insieme maturate e condivise. Porto il saluto di questi amici comuni, soprattutto della Valtellina e di Trieste, ed un vivo ringraziamento ai confratelli, soprattutto il priore ed il personale di servizio dell’Istituto Missioni per come l’hanno accolto e accompagnato con amore nell’ultimo periodo della sua vita tra noi”.
In conclusione, la vita di Padre Giorgio M. Zeini rappresenta un esempio luminoso di dedizione, fede e amore per l’umanitΓ . Il suo pellegrinaggio terreno Γ¨ terminato, ma il suo spirito e il suo insegnamento continuano a vivere attraverso coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e trarre ispirazione dalla sua vita.

Umberto Ravagnani

FOTO: Archivio storico della Provincia Veneta OSM (Vicenza) (email: archivio@pvosm.it).
FONTE: Necrologio di P. Giorgio M. Zeini, conservato nel fascicolo personale in Archivio storico della Provincia Veneta OSM (Vicenza) (email: archivio@pvosm.it).

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IL MAESTRO GIOVANNI GOBBO

[410] IL MAESTRO GIOVANNI GOBBO
Un esempio di dedizione e impegno nella scuola del dopoguerra

Nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, l’Italia affrontava una fase di ricostruzione sociale ed economica profonda. In questo contesto, il sistema scolastico rivestiva un ruolo centrale, e tra i tanti insegnanti che hanno lasciato un’impronta indelebile c’è Giovanni Gobbo, un maestro che ha dedicato la sua vita all’educazione dei giovani nel piccolo paese di Montebello. Attraverso la sua β€œCronaca di vita della scuola”, Gobbo ha tracciato un quadro prezioso delle sfide quotidiane che caratterizzavano il mestiere di insegnante in un’Italia ferita ma piena di speranza.
Quando Giovanni Gobbo iniziΓ² ad insegnare nel 1946, l’Italia si stava rialzando dalle macerie della guerra. Le scuole, soprattutto nelle aree rurali, erano spesso in condizioni precarie: edifici danneggiati, aule sovraffollate e una scarsitΓ  cronica di materiali scolastici erano la norma. Nonostante queste difficoltΓ , l’istruzione rappresentava un pilastro fondamentale per la rinascita del Paese.
Egli si trovΓ² a insegnare in questo periodo storico cruciale, in cui la scuola non era solo un luogo di istruzione, ma anche uno spazio in cui si coltivavano i valori civici e morali di una nuova democrazia. La sua carriera, che si sviluppΓ² tra il 1946 e il 1959, riflette le sfide e le opportunitΓ  di quegli anni.
La sua β€œCronaca di vita della scuola”, relativa all’anno scolastico 1947-48, offre una finestra unica sul suo approccio all’insegnamento. Nella classe IV maschile che gli venne assegnata, composta da 40 alunni di etΓ  compresa tra gli 8 e i 14 anni, Gobbo si trovΓ² di fronte a una grande sfida: una classe eterogenea, sia per etΓ  che per competenze. Molti studenti mostravano enormi difficoltΓ  nella lingua italiana, con una lettura “spaventosa” e una scarsa capacitΓ  di comporre un pensiero, sia oralmente che per iscritto.
Si dedicΓ² a colmare queste lacune con un lavoro intenso e mirato. Nel primo mese di scuola, concentrΓ² i suoi sforzi sull’ortografia e sulla comprensione della lingua italiana, consapevole che senza una base solida in questo ambito, sarebbe stato difficile per gli alunni progredire nelle altre materie. Tuttavia, si rese conto che la scuola da sola non poteva farcela: era essenziale il coinvolgimento delle famiglie, e per questo esortΓ² i genitori a seguire con attenzione il percorso scolastico dei loro figli, cercando di creare un ponte tra scuola e casa.
Uno degli aspetti piΓΉ significativi dell’insegnamento di Giovanni Gobbo era la sua attenzione all’educazione morale dei ragazzi. In una fase di ricostruzione nazionale, il ruolo dell’insegnante andava oltre l’insegnamento delle discipline scolastiche. La scuola, come scriveva nel suo diario scolastico, aveva anche il compito di “educare, ma educare soprattutto con l’esempio vigile e costante”. Questo impegno verso la formazione morale era visto come parte integrante della missione educativa, soprattutto in un’Italia che cercava di riannodare i fili del tessuto sociale.
La disciplina e il rispetto erano componenti centrali dell’insegnamento di Gobbo. Nonostante i ragazzi provenissero da contesti spesso difficili e privi di risorse, il maestro riusciva a instillare in loro un forte senso del dovere e della responsabilitΓ . In un contesto di comunitΓ  rurale come Montebello, dove molti ragazzi partecipavano attivamente ai lavori nei campi, la scuola diventava un luogo in cui imparare non solo nozioni, ma anche valori civici e sociali fondamentali.
Nel corso dell’anno scolastico, osservΓ² con attenzione i progressi dei suoi alunni. Nella cronaca del dicembre 1947, esprime soddisfazione per i primi risultati positivi: gli alunni avevano acquisito una maggiore sicurezza nell’uso dei verbi ausiliari e cominciavano a svolgere riassunti orali e scritti con maggiore autonomia. Tuttavia, il cammino era ancora lungo, e il maestro non si illudeva che i miglioramenti fossero definitivi. Continuava a sottolineare l’importanza di una pratica costante e di un impegno quotidiano per consolidare i progressi fatti.
In campo scientifico, gli alunni mostravano un particolare interesse per l’aritmetica e la geometria, materie in cui Gobbo riusciva a ottenere risultati soddisfacenti. Egli verificava attentamente che ogni studente fosse in grado di eseguire le quattro operazioni fondamentali con i numeri interi e decimali, e si assicurava che tutti avessero una comprensione solida delle misure del sistema metrico.
PiΓΉ complicato era l’insegnamento della storia e della geografia, materie che gli alunni trovavano meno attraenti. Il periodo medioevale, in particolare, risultava difficile da comprendere e da memorizzare, anche perchΓ© non tutti gli studenti possedevano i libri di testo nella stessa edizione, creando ulteriori difficoltΓ  nel seguire le lezioni.
Oltre all’insegnamento in aula, Giovanni Gobbo partecipava attivamente alla vita della comunitΓ  di Montebello. La scuola non era vista come un’entitΓ  separata, ma come parte integrante del tessuto sociale del paese. Insieme agli altri insegnanti e al Patronato scolastico, si impegnava per garantire che anche gli alunni piΓΉ poveri potessero accedere all’istruzione. Nel novembre 1947, ad esempio, venne discussa l’idea di istituire un economato scolastico per fornire materiali didattici a prezzi accessibili alle famiglie meno abbienti.
Le celebrazioni civiche e religiose erano un altro aspetto importante della vita scolastica. Nel corso dell’anno, gli alunni partecipavano a cerimonie locali, come l’omaggio al monumento ai caduti o la commemorazione della battaglia di Sorio. In queste occasioni, la scuola assumeva un ruolo di primo piano nella formazione del senso di appartenenza e di identitΓ  nazionale, valori cruciali in un periodo in cui l’Italia stava cercando di costruire una nuova coscienza civile.
La dedizione di Giovanni Gobbo emerge chiaramente dalle pagine della sua cronaca. Anno dopo anno, egli continuava a lavorare senza risparmiarsi, consapevole dell’importanza del suo ruolo nel plasmare il futuro dei suoi alunni. Nel giugno 1948, al termine di un altro anno scolastico, scrive con orgoglio: “Concludo cosΓ¬ un nuovo anno scolastico con piena coscienza di aver lavorato senza risparmio di tempo e di fatica”. Queste parole riflettono non solo il suo impegno personale, ma anche la convinzione che l’insegnamento fosse una missione che richiedeva dedizione totale.
Nonostante le difficoltΓ  materiali, le sfide sociali e la mancanza di risorse, riusciva a creare un ambiente scolastico accogliente e stimolante. Gli alunni, anche quelli meno motivati, seguivano volentieri le sue lezioni, riconoscendo in lui una figura di riferimento e di guida.
L’ereditΓ  di Giovanni Gobbo si inserisce nel contesto piΓΉ ampio della scuola elementare italiana del dopoguerra. In un periodo caratterizzato da profonde trasformazioni sociali ed economiche, la figura dell’insegnante assumeva un ruolo centrale nella formazione delle nuove generazioni. Gobbo non si limitava a trasmettere conoscenze: il suo insegnamento abbracciava l’intera persona, mirando a formare individui responsabili e consapevoli del proprio ruolo nella societΓ .
Attraverso la sua “Cronaca di vita della scuola”, possiamo cogliere non solo le sfide affrontate quotidianamente, ma anche l’entusiasmo e la passione che caratterizzavano il suo lavoro. La sua attenzione verso ogni singolo alunno, il suo impegno costante per migliorare le condizioni della scuola e la sua capacitΓ  di coinvolgere la comunitΓ  locale sono tutti aspetti che rendono la sua figura un modello di dedizione e professionalitΓ .
L’insegnamento di Giovanni Gobbo ci ricorda l’importanza del ruolo degli educatori nella costruzione di una societΓ  migliore. Il suo esempio continua a vivere non solo nelle pagine delle sue cronache, ma anche nelle vite degli studenti che ha contribuito a formare, lasciando un’impronta duratura nella storia della scuola italiana.

Umberto Ravagnani

FOTO: Il maestro Giovanni Gobbo ha insegnato a Montebello Vicentino dal 1946 al 1959.
BIBLIOGRAFIA:Β O. Gianesato, U. Ravagnani e M. E. Dalla Gassa, LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE DI MONTEBELLO VICENTINO, Amici di Montebello, 2018, Montebello Vicentino.

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IL MORBO ASIATICO

[409] IL MORBO ASIATICO

Con una ordinanza del 10 agosto 1886 il sindaco di Montebello Vicentino, Luigi Baldisserotto, stabilì:
β€œPer misure precauzionali si ordina che la tumulazione venga eseguita alle ore 2 antimeridiane di domani 11 agosto senza seguito e per la via argine del Chiampo”.
Praticamente per evitare di percorrere il centro del paese.
Il primo cittadino, a malincuore, fu costretto a predisporre queste linee guida per la sepoltura di Domenica Pajusco di anni 66, deceduta a causa del colera, abitante al civico numero 528. (i numeri civici oltre il 500 contrassegnavano le abitazioni situate nel Borgo, contrΓ  Ronchi, Vanzo, Gambero, cΓ  Sordis, Frigon, ossia principalmente in quelle alla sinistra del torrente Chiampo).
Tra l’altro un’altra ordinanza in vigore in tutti comuni sanciva: β€œil cadavere dovrΓ  essere deposto in cassa intonacata di pece e sotterrato senza cerimonia religiosa dopo 12 ore”. Pertanto per evitare il propagarsi del contagio gli sfortunati che erano stati vittime del morbo lasciavano in piena notte questo mondo senza il minimo conforto umano.
Il 1886, soprattutto per l’ovest vicentino, fu un vero β€œannus horribilis”. Dopo esattamente cinquant’anni si ripresentava il colera meglio conosciuto come morbo asiatico. Fino ai primi decenni dell’ottocento questa terribile malattia era pressochΓ© sconosciuta e inesistente in Europa, finchΓ© gli inglesi, in seguito alla conquista dell’India, nel 1835 portarono in patria ingenti ricchezze, ma purtroppo anche le miserie rappresentate dal contagioso morbo che si diffuse rapidamente nel Vecchio Continente. Nel corso dell’ottocento, oltre all’epidemia del 1835-36, il morbo del colera imperversΓ² nel Veneto nel 1855, nel 1886-1887. Ma quello del quale si parlerΓ  diffusamente piΓΉ avanti, si verificΓ² nel 1886 ed ebbe, come si leggerΓ , implicazioni economiche e sociali vastissime.
Lo storico Bruno Munaretto ci informa che nella prima grande e mortifera epidemia del 1836, a Montebello i decessi furono più di cento sparsi nel territorio comunale. Nella vicina Montecchio Maggiore furono più di 130, concentrati nella parrocchia di San Pietro e cioè Fontana di Ferro, via Madonnetta, via Verzellina e altre.
Il periodo piΓΉ letale dell’anno fu quello compreso tra la fine di giugno e i primi giorni di settembre, circa 70 giorni, arco di tempo in cui imperversavano anche altre gravi malattie come il tifo ed il vaiolo, complici la penuria, se non la totale mancanza di acqua potabile nei pozzi, e le precarie condizioni igieniche.
Prendendo in considerazione le situazioni dei comuni di Montebello, Brendola e Montecchio Maggiore ed a seguire anche di Lonigo, si legge che il primo decesso del 1886 si verificΓ² a Montecchio il 27 giugno nella frazione collinare di san Urbano, e in seguito l’epidemia si propagΓ² nelle vicine localitΓ  Bernuffi, Valbona, Bastia, Rio Secco. In altura quindi, a differenza del contagio del 1836 che colpΓ¬ principalmente la parte pianeggiante a sud del comune ai piedi della collina dei castelli.
Scendendo da sant’Urbano la malattia si propagΓ² in seguito nelle contrade della Valle, a san Vitale, e poi fino al centro del paese mietendo in totale 87 vittime.
A Montebello, le colline di Agugliana e Selva, a differenza di quelle di Montecchio, furono miracolosamente risparmiate dalla grave malattia, molto presente tuttavia nelle zone esterne al centro storico.
Unica vittima di Agugliana accertata, fu tale Domenico Dibello, settantaduenne celibe, di condizione mendicante che forse si era contagiato proprio durante il suo girovagare per elemosinare un pezzo di pane. Comunque a Montebello si ebbe la prima morte di colera solo il 13 luglio, e cioΓ¨ quella di Domenico Gabinato di 56 anni abitante nelle campagne presso la ferrovia. Alla fine del contagio Montebello contΓ² oltre 30 decessi, molti meno di quelli del 1836, forse grazie anche alle precauzioni e alle misure messe in atto. Non andΓ² altrettanto bene alla vicina Brendola che, pur contando solo mille abitanti meno di Montebello, alla fine pianse la scomparsa di ben 97 paesani, il primo l’8 luglio. Comunque i casi mortali di colera furono ovunque senz’altro maggiori poichΓ© alcune cause di decesso, diverse dal colera segnate nei verbali dai medici del comune, erano perΓ² riconducibili a questo morbo.
Nell’intera provincia di Vicenza le perdite causate dal colera sfiorarono le 2000 unitΓ  (991 uomini e 937 donne) pari al 46% dei colpiti. Vicenza cittΓ  contribuΓ¬ a queste tristi cifre con 343 vittime su una popolazione di circa 39.000 abitanti. Di Lonigo mancano i verbali di morte e pertanto risulta complicato stilare delle cifre. Incrociando i dati degli indici decennali nel 1886, Lonigo risulta avere avuto almeno 150 decessi in piΓΉ rispetto alla media del periodo 1881-1891 che dovrebbero essere attribuiti al morbo in questione. Questi su una popolazione che sfiorava i 10.000 abitanti.
Appare perciΓ² evidente che lungo l’asse Vicenza – Lonigo il colera imperversΓ² piΓΉ che in altri comuni del vicentino. I popolosi paese di Thiene e Dueville, per esempio, ebbero complessivamente β€œsolo” 18 casi letali.
Ma quel che Γ¨ peggio l’epidemia di colera del 1886, infierendo soprattutto sui ceti piΓΉ poveri dei contadini e degli operai, non fece altro che aggravare la situazione migratoria di tutto il Veneto.
Nei due anni successivi si registrΓ² il massimo storico dell’emigrazione dell’ottocento: da Vicenza 11266 persone emigrarono definitivamente, principalmente verso l’America del Sud, e 5876 temporaneamente.

Ottorino Gianesato

NOTA: ⁕ Durante l’epidemia di colera del 1886, Venezia divenne teatro di un esperimento medico rivoluzionario: l’ipodermoclisi. Proposta dal dottor Arnaldo Cantani nel 1865, questa tecnica mirava a salvare vite iniettando soluzioni saline direttamente sotto la pelle per contrastare la disidratazione fulminante e l’aciditΓ  del sangue nei malati di colera. I medici veneziani si affrettarono a perfezionare il metodo, applicandolo ai pazienti in stadio avanzato. In poco tempo, l’epidemia fu sotto controllo. I risultati furono sorprendenti: nonostante la gravitΓ  delle condizioni, molti pazienti critici sopravvissero grazie a questa innovativa terapia. L’ipodermoclisi aprΓ¬ la strada a nuove possibilitΓ  nel trattamento delle emergenze mediche.
IMMAGINE: Il medico italiano Arnaldo Cantani ⁕ che propose per primo una cura contro il morbo asiatico (da Wikipedia).

Umberto Ravagnani

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MARIA DE GIACOMI

[408] LA MAESTRA MARIA DE GIACOMI
Un’insegnante tra storia e vita quotidiana

Dal diario di un’insegnante nel cuore dell’Italia rurale, tra il fascismo, la guerra e la ricostruzione.
Tra le righe del diario di Maria De Giacomi, emerge un quadro vivido della vita scolastica in Italia, in un’epoca di profonde trasformazioni storiche e sociali. Insegnante nelle scuole elementari di Selva di Montebello tra il 1930 e il 1948⁕, Maria si dedicΓ² con passione e determinazione alla formazione dei giovani in un periodo in cui il Paese attraversava grandi sfide. La sua storia non Γ¨ solo quella di una maestra, ma anche quella di una donna che ha vissuto in prima linea i cambiamenti dell’Italia, dalle restrizioni del regime fascista alle difficoltΓ  della Seconda Guerra Mondiale e alla rinascita del dopoguerra.
Quando Maria De Giacomi iniziΓ² il suo percorso di insegnamento, l’Italia era governata dal regime fascista, che considerava l’istruzione uno strumento cruciale per inculcare nei giovani i valori di disciplina, obbedienza e patriottismo. La scuola elementare rappresentava il primo luogo di formazione civica per i bambini, dove venivano educati secondo i principi della retorica fascista. Tuttavia, come emerge dal diario di Maria, il suo approccio all’educazione era piΓΉ umano e orientato al benessere e alla crescita morale degli alunni, oltre che al rispetto delle direttive statali.
Nel diario, datato 4 ottobre 1947, Maria riporta un incontro con il Direttore scolastico, durante il quale si sottolineava l’importanza della disciplina e della puntualitΓ . Il fascismo poneva un’enfasi particolare su questi aspetti, ma Maria, pur rispettando le indicazioni ricevute, dimostrava una dedizione personale che andava oltre le mere istruzioni ufficiali. Era evidente che il suo obiettivo non era solo quello di formare alunni disciplinati, ma di aiutarli a diventare individui consapevoli e rispettosi, capaci di affrontare le sfide della vita.
La Seconda Guerra Mondiale fu un periodo estremamente difficile per il sistema scolastico italiano. Le scuole elementari furono colpite dalla mancanza di risorse, dalle frequenti interruzioni delle lezioni e dall’incertezza della vita quotidiana. Tuttavia, nonostante le difficoltΓ , Maria De Giacomi continuΓ² con determinazione il suo lavoro, cercando di garantire ai suoi alunni un’educazione stabile in un periodo di caos.
Il 6 ottobre 1947, Maria descrive l’inizio del nuovo anno scolastico con una cerimonia semplice, che comprendeva una messa e un omaggio ai caduti di guerra. In un’Italia ancora segnata dalle ferite del conflitto, queste cerimonie rappresentavano un momento di riflessione e memoria collettiva, ma anche di speranza per il futuro. Per Maria, la scuola doveva essere un luogo di continuitΓ  e crescita, dove i bambini potevano trovare una parvenza di normalitΓ  nonostante le difficoltΓ  che li circondavano.
La sua attenzione nei confronti dei bambini emerge anche dal modo in cui descrive le difficoltΓ  materiali che molti di loro dovevano affrontare. Nel suo diario del 23 febbraio 1948, Maria racconta di una giornata in cui gli alunni arrivavano a scuola con i piedi bagnati a causa della neve e delle scarpe inadatte. “Poverini,” scrive, “tanti mi facevano proprio pena cosΓ¬ malvestiti e peggio con dei zoccoletti ai piedi dai quali entrava l’acqua”. Questo passaggio ci dΓ  un’idea delle condizioni precarie in cui molti bambini vivevano, ma anche della compassione di Maria, che faceva del suo meglio per sostenerli e incoraggiarli a non abbandonare la scuola.
Un aspetto particolarmente significativo del diario di Maria De Giacomi Γ¨ il suo costante impegno nell’educare i suoi alunni non solo nelle materie scolastiche, ma anche nei valori morali e civici. Il suo obiettivo era formare persone consapevoli e responsabili, pronte a contribuire alla societΓ .
Il 20 gennaio 1948, Maria annota un episodio in cui parlΓ² ai suoi alunni della disoccupazione e li invitΓ² a riflettere su come anche loro potessero contribuire, attraverso piccoli sacrifici, ad aiutare chi era meno fortunato. Nonostante si trattasse di bambini piccoli, Maria credeva fermamente che l’educazione morale dovesse iniziare presto e che i valori della solidarietΓ  e della generositΓ  fossero fondamentali per crescere cittadini migliori.
Questa attenzione alla crescita umana degli alunni era centrale nel suo metodo di insegnamento. Per Maria, l’istruzione non era solo una questione di apprendimento delle nozioni di base, ma anche un processo attraverso il quale i bambini dovevano imparare a vivere in comunitΓ , rispettarsi a vicenda e comprendere le difficoltΓ  altrui.
Per comprendere appieno il contesto in cui operava Maria De Giacomi, Γ¨ importante analizzare il sistema scolastico italiano dell’epoca. Durante il periodo fascista, l’istruzione era rigidamente controllata dallo Stato, che la utilizzava come strumento di propaganda per promuovere l’ideologia fascista. I programmi scolastici includevano elementi di educazione fisica, storia e cultura patriottica, e gli insegnanti erano spesso visti come agenti del regime, incaricati di inculcare nei giovani i valori di disciplina e lealtΓ  verso la patria.
Tuttavia, molti insegnanti, come Maria, riuscivano a trovare un equilibrio tra l’esecuzione delle direttive del regime e l’educazione umana dei loro alunni. Sebbene il fascismo imponesse rigide regole sul sistema scolastico, Maria De Giacomi si concentrava sull’importanza dell’istruzione come mezzo per migliorare la vita dei suoi alunni e prepararli ad affrontare un futuro incerto.
Con la fine della guerra, l’Italia si trovava di fronte a enormi sfide, ma anche a grandi opportunitΓ . Il periodo post-bellico fu caratterizzato da una forte spinta verso la ricostruzione delle istituzioni, tra cui la scuola. Maria De Giacomi continuΓ² a insegnare durante questi anni difficili, impegnandosi a offrire ai suoi alunni un’istruzione solida che potesse aiutarli a costruirsi un futuro migliore.
Nel suo diario del 30 novembre 1947, Maria esprime soddisfazione per i progressi dei suoi alunni di seconda classe. Molti di loro erano riusciti ad apprendere l’addizione in colonna e mostravano un buon livello di competenza nella lettura. Tuttavia, Maria non si accontentava mai dei risultati ottenuti: continuava a spingere i suoi alunni a migliorare, incoraggiandoli a esercitarsi a casa e organizzando attivitΓ  per stimolare la loro curiositΓ  e il desiderio di apprendere.
In un’Italia che cercava di risollevarsi dalle macerie della guerra, l’istruzione era vista come uno degli strumenti principali per ricostruire il Paese. Gli insegnanti come Maria De Giacomi svolgevano un ruolo cruciale in questo processo, non solo trasmettendo conoscenze, ma anche aiutando a formare una nuova generazione di cittadini consapevoli e responsabili.
Il lavoro di maestra a Selva di Montebello si concluse nel 1948, ma il suo impatto su quella comunitΓ  e sui suoi alunni fu profondo e duraturo. Nel diario del 19 giugno 1948, Maria descrive l’ultimo giorno di scuola dell’anno, quando distribuΓ¬ i libretti delle vacanze e raccomandΓ² ai suoi alunni di leggere molto durante l’estate. Questo semplice consiglio riassumeva perfettamente la sua filosofia educativa: per Maria, l’istruzione non si fermava alle aule scolastiche, ma doveva essere un processo continuo, che accompagnava i bambini per tutta la vita.
La dedizione di Maria De Giacomi e il suo amore per l’insegnamento sono evidenti in ogni pagina del suo diario. Attraverso le sue parole, possiamo vedere il ritratto di un’insegnante che ha affrontato sfide enormi, ma che ha sempre creduto nel potere dell’istruzione e nella capacitΓ  dei suoi alunni di superare le difficoltΓ . Maria non era solo una maestra, ma una guida, una figura materna e una fonte di ispirazione per i suoi alunni, che grazie a lei hanno potuto costruire un futuro migliore.
La sua ereditΓ  Γ¨ quella di un’insegnante che ha compreso l’importanza di educare non solo la mente, ma anche il cuore, aiutando i bambini a diventare non solo studenti migliori, ma persone migliori.

Umberto Ravagnani

FOTO: Scuola Elementare di Selva di Montebello (presso la vecchia Canonica, visibile a destra). (Foto Umberto Ravagnani).
NOTE: ⁕ La maestra Maria De Giacomi ha insegnato nelle Scuole Elementari di Selva di Montebello dal 1930 al 1948 ed in quelle di Montebello fino al 1966.
BIBLIOGRAFIA:Β O. Gianesato, U. Ravagnani e M. E. Dalla Gassa, LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE DI MONTEBELLO VICENTINO, Amici di Montebello, 2018, Montebello Vicentino.

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ROSANNA ZANESCO

[407] LA MAESTRA ROSANNA ZANESCO
La Maestra che ha cresciuto la generazione degli anni β€˜70 e β€˜80

Negli anni β€˜70 e β€˜80, l’Italia si trovava in una fase di grande cambiamento. La scuola rifletteva questa evoluzione, trasformandosi da istituzione rigida e autoritaria a luogo piΓΉ inclusivo e attento ai bisogni degli studenti. In questo contesto, la figura dell’insegnante assumeva un ruolo cruciale.
A Montebello Rosanna Zanesco, maestra di scuola elementare, Γ¨ stata una delle educatrici che hanno incarnato questa innovazione.
Con un approccio che combinava fermezza e sensibilitΓ , Rosanna Zanesco ha saputo instaurare con i suoi alunni un legame speciale. Le sue classi non erano semplicemente spazi di apprendimento, ma ambienti dove i bambini potevano esprimere se stessi, coltivare curiositΓ  e sviluppare il proprio potenziale. In un periodo in cui l’Italia stava evolvendo anche a livello economico e culturale, il ruolo di educatori come Rosanna era fondamentale per formare i cittadini del domani.
Qualche anno fa, Rosanna Zanesco ha rilasciato un’intervista a Maria Elena Dalla Gassa, in cui ha raccontato i suoi ricordi piΓΉ vividi della vita scolastica di quei tempi. Attraverso le sue parole, emergono l’entusiasmo, la dedizione e l’amore per il mestiere che l’hanno resa indimenticabile per molte generazioni. Con piacere riproponiamo oggi quell’intervista, invitando chi l’ha conosciuta a condividere i propri ricordi.

Β« La mia era una classe tutta femminile perchΓ© all’epoca le classi erano tutte maschili o tutte femminili. L’edificio scolastico aveva due entrate distinte a destra quella delle femmine e a sinistra quelle dei maschi. Anche il cortile era diviso.
L’aula era arredata dai banchi, quelli β€œdi una volta”, stravecchi, in legno, a due o piΓΉ posti, con buchi dove si incastrava il calamaio in cui intingevamo i pennini delle nostre penne a cannuccia.
Di fronte alle fila dei banchi rialzata su una pedana c’era la cattedra e a destra c’era la lavagna; sulla parete frontale, al centro, era appeso il Crocifisso. La scuola era molto cattolica il prete insegnava religione, non c’era nessun laico che la insegnasse. I maestri e le maestre avevano altre materie. Quando ero scolara la figura dell’insegnante era carismatica, autorevole e incisiva nella formazione e nell’educazione degli alunni da avere quasi un debito morale nei loro confronti e soprattutto non si potrΓ  mai disconoscere l’importanza e il ruolo prezioso che i maestri hanno avuto nella propria vita. Io ho voluto diventare insegnante anche per questo e per l’amore per i bambini.
Personalmente, nel corso dei cinque anni delle elementari, ricordo benissimo tutte le mie maestre. I primi tre anni ho avuto la maestra Caterina Bergami era una mastra che sapeva insegnare con autorevolezza e per incentivare le scolare dava dei premi. Io ne ho presi piΓΉ di uno in matematica. Quando non ho piΓΉ avuto la maestra Bergami ne Γ¨ arrivata una che non ti insegnava molto faceva recitare sempre le preghiere e ti faceva fare sempre riassunti, ho fatto tantissimi riassunti, mi ricordo in particolare quelli delle fiabe di Andersen.
In quinta elementare per fortuna Γ¨ arrivata la maestra Teresa Nicoletti, la quinta era un anno importante e bisognava essere preparate molto bene perchΓ© se volevi andare alle Medie dovevi sostenere un esame di ammissione. Era difficile questo esame, si veniva bocciati e non potevi ripeterlo piΓΉ di un paio di volte.
Ho superato l’esame di ammissione e ho potuto andare alle Medie qua a Montebello.
Era il primo anno che c’erano le Scuole Medie in paese. Erano nell’edificio proprio vicino alla scuola Elementare.
In prima la classe era mista poi dalla seconda sono stati divisi i maschi dalle femmine in due sezioni distinte. Finite le medie mi sono iscritta alle Magistrali.
Dopo diplomata e prima di entrare di ruolo alle elementari di Montebello ho insegnato per tre anni al doposcuola sempre situato in questa scuola ed ero pagata dal Patronato scolastico. Mi ricordo si teneva un registro e il sabato il direttore, che era Cavallaro, veniva per vedere controllare cosa si era fatto. Quando ho superato il concorso nel 1973 sono stata due anni a Chiampo e poi sono venuta a Montebello e ho sempre insegnato qui fino alla pensione. Β» (Da “LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE DI MONTEBELLO VICENTINO” di Ottorino Gianesato, Umberto Ravagnani e Maria Elena Dalla Gassa).

FOTO: Anno scolastico 1985-86, classe Ia mista. La maestra era Rosanna ZanescoΒ (cortesia Rosanna Zanesco).

Umberto Ravagnani

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1945: TRA CAOS E LIBERAZIONE

[406] 1945: MONTEBELLO TRA CAOS E LIBERAZIONE
Dall’incubo della ritirata tedesca alla gioia della liberazione

L’aprile del 1945 segnΓ² la fine di una lunga e devastante era per l’Italia. La Seconda Guerra Mondiale stava per concludersi, ma non senza lasciare un’ultima scia di terrore e caos. In questo scenario, MontebelloΒ divenne teatro di eventi drammatici e cruciali che avrebbero segnato per sempre la memoria dei suoi abitanti. Mentre i tedeschi si ritiravano in disordine e gli Alleati avanzavano inesorabilmente, il paese visse giorni di incubo, seguiti finalmente dall’atteso respiro di libertΓ .
A inizio 1945, la Linea Gotica rappresentava l’ultima roccaforte difensiva delle forze tedesche in Italia. Costruita lungo gli Appennini, questa linea doveva servire come un insormontabile baluardo contro l’avanzata degli Alleati. Tuttavia, con l’approssimarsi della primavera, le forze tedesche si trovarono sull’orlo del collasso. Le loro truppe, stremate da mesi di combattimenti, soffrivano la mancanza di rifornimenti e il continuo assalto degli eserciti angloamericani, supportati dai partigiani italiani.
Quando le linee difensive iniziarono a cedere sotto la pressione degli attacchi alleati, il comando tedesco ordinΓ² una ritirata disperata verso il nord. Tuttavia, questa fuga divenne presto un caos incontrollato. I convogli tedeschi, esposti al dominio incontrastato dell’aviazione alleata, furono decimati lungo le vie di ritirata. Soldati che un tempo marciavano con fierezza si trovarono ridotti a fuggiaschi, costretti a cercare salvezza a piedi o su biciclette rubate.
Montebello, situato lungo la via di ritirata tedesca, divenne un luogo di transito per queste truppe in fuga. Per giorni, gli abitanti assistettero, impotenti e spaventati, al passaggio di colonne sbandate di soldati tedeschi. Provenienti da Torri di Confine, questi uomini attraversavano il paese con passo incerto, spesso senza più una meta precisa. Il loro morale era distrutto, così come le loro risorse. Rubavano biciclette per proseguire la fuga, cercando disperatamente di allontanarsi dal fronte che avanzava inesorabilmente.
I montebellani, rinchiusi nelle loro case o nascosti nei rifugi, vivevano in un clima di costante tensione. Ogni giorno, il rumore di passi pesanti e il fruscio di divise logore riempivano le strade del paese. La paura di una possibile battaglia imminente, di distruzioni e saccheggi, era palpabile. Eppure, i tedeschi non avevano nΓ© la forza nΓ© i mezzi per difendere o distruggere Montebello. Erano ormai ombre in fuga, consapevoli di essere alla fine di una guerra che non potevano piΓΉ vincere.
Per comprendere appieno l’importanza degli eventi che si svolsero a Montebello, Γ¨ necessario collocare il tutto nel contesto della piΓΉ ampia campagna militare in Italia. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943 e l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno, l’Italia divenne un campo di battaglia tra le forze alleate e quelle dell’Asse. La guerra si trasformΓ² in una lunga e sanguinosa avanzata attraverso una serie di linee difensive tedesche, di cui la Linea Gotica fu l’ultima e piΓΉ imponente.
Con l’inizio del 1945, era ormai chiaro che la fine della guerra in Europa era vicina. Gli Alleati avanzavano da sud, sostenuti da bombardamenti continui e da un crescente movimento partigiano, mentre i tedeschi cercavano disperatamente di rallentare questa avanzata. La liberazione dell’Italia settentrionale divenne una questione di tempo, e Montebello, come molti altri piccoli centri, si trovΓ² improvvisamente al centro di questa tempesta.
Durante quei giorni di aprile, Montebello era costantemente sorvegliato dall’alto. Gli Alleati inviavano regolarmente i loro aerei da ricognizione, soprannominati β€œCicogne”, a sorvolare il paese. Questi velivoli erano incaricati di monitorare ogni movimento nemico e di segnalare qualsiasi tentativo di resistenza. Se i tedeschi avessero cercato di fortificare il paese, Montebello sarebbe stato ridotto in macerie dai bombardamenti alleati.
Ma il destino fu clemente: le truppe tedesche, ormai allo sbando, non avevano nΓ© i mezzi nΓ© la volontΓ  di organizzare una difesa. Il paese, pur segnato dalla presenza di soldati in fuga, fu risparmiato dalla distruzione. Gli abitanti, pur consapevoli del pericolo, potevano solo sperare che la tempesta della guerra passasse senza lasciare altre cicatrici.
La notte del 24 aprile 1945, Montebello si trovava sospeso tra il terrore e la speranza. I tedeschi erano scomparsi, ritiratisi senza combattere, e il paese giaceva in un silenzio irreale. Gli abitanti, rinchiusi nelle loro case, attendevano con ansia l’arrivo delle forze alleate. Ogni rumore nella notte sembrava portare con sΓ© la promessa di un cambiamento imminente, ma nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo nelle ore successive.
Poco dopo mezzanotte, il silenzio fu rotto dal rombo metallico dei cingoli dei carri armati americani. Gli Alleati erano finalmente arrivati. I carri armati attraversarono il paese senza incontrare resistenza, e Montebello, dopo anni di paura e oppressione, si ritrovΓ² improvvisamente libera. La liberazione, tanto attesa, era finalmente realtΓ . La guerra, con tutto il suo carico di orrori, era finita.
Il 25 aprile 1945, Montebello si svegliΓ² sotto un cielo sereno e carico di promesse. Le strade del paese, che fino al giorno prima erano state teatro di paura e tensione, si riempirono di persone che uscivano finalmente dalle loro case. L’aria era carica di emozioni contrastanti: sollievo, gioia, ma anche tristezza per le sofferenze patite. La piazza principale divenne il cuore pulsante della celebrazione, un luogo dove i montebellani si riunirono per abbracciarsi, piangere e ridere insieme.
Il culmine della festa arrivΓ² con l’ingresso di una camionetta americana nella piazza del Municipio. I soldati, accolti come liberatori, distribuivano cioccolatini e sorrisi, mentre la folla li circondava in un’esplosione di gratitudine. Montebello, che aveva vissuto anni di oppressione e paura, si trovava finalmente a festeggiare la libertΓ . Quel giorno, il paese iniziΓ² a guarire dalle ferite della guerra, riscoprendo il significato della parola β€œpace”.
La liberazione di Montebello non fu solo un momento di gioia locale, ma rappresentò un capitolo importante nella storia della liberazione italiana. In tutta Italia, il 25 aprile divenne il simbolo della vittoria sulla tirannia e della rinascita di una nazione. Montebello, con la sua storia di sofferenza e riscatto, si unì a questo grande movimento di rinascita, diventando un simbolo di speranza e di libertà.
Oggi, la memoria di quei giorni vive ancora nelle storie raccontate dagli anziani e nelle commemorazioni annuali. Ogni anno, il paese ricorda la sua liberazione, onorando il sacrificio di chi ha combattuto per la libertΓ  e celebrando la forza di una comunitΓ  che ha saputo resistere e risorgere. La liberazione di Montebello Γ¨ un ricordo che continua a ispirare, un messaggio di coraggio e speranza per le generazioni future.

Umberto Ravagnani

BIBLIOGRAFIA: P. Savegnago, Le organizzazioni Todt e Poll in provincia di Vicenza, Padova, 2012.
A.Maggio – L.Mistrorigo, “Montebello Novecento“, 1997.
FOTO: La celebrazione del 25 aprile a Montebello davanti al monumento ai Caduti circa 55 anni fa. In primo piano, al centro, FIORELLO BOSCARDIN sindaco dal 1964 al 1975 (cortesia Marco Boscardin. Elaborazione grafica digitale e colore di Umberto Ravagnani).

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MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO

[405] 1943: MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO
La grande fossa anticarro e la lotta per sopravvivere

Nel cuore dell’inverno del 1943-44, l’Italia settentrionale era avvolta in un’atmosfera di gelo e terrore. La guerra, che ormai devastava l’Europa da anni, si era insinuata anche nei piccoli centri abitati, trasformando la quotidianitΓ  in un susseguirsi di privazioni e paura. Montebello, un tranquillo comune veneto, divenne il teatro di un dramma umano quando le truppe tedesche intensificarono la loro presenza.
In tutto il Nord Italia, le risorse scarseggiavano e i bombardamenti degli Alleati aumentavano di intensitΓ , colpendo le infrastrutture strategiche per rallentare l’avanzata nemica. A Montebello, i ponti sul torrente GuΓ , cruciali per i movimenti militari, erano spesso bersaglio degli attacchi aerei, e i genieri dell’Organizzazione Todt lavoravano incessantemente per ripararli. La popolazione, ormai stremata, viveva con l’ansia costante di un’esplosione improvvisa o di un rastrellamento notturno.
L’estate del 1944 portava con sΓ© non solo il caldo torrido, ma anche l’angoscia di un conflitto che si avvicinava sempre piΓΉ. Gli Alleati avanzavano lentamente verso il nord, mentre le forze naziste si preparavano a resistere con ogni mezzo possibile. Montebello, per la sua posizione strategica, era destinato a diventare un punto chiave nella difesa tedesca. L’atmosfera era carica di tensione, e ogni giorno sembrava piΓΉ pesante del precedente.
Fu in questo contesto che giunse la notizia devastante: la mobilitazione civile forzata. Una domenica di metΓ  agosto, mentre i fedeli uscivano dalla Messa delle dieci, trovavano ad attenderli un ordine terribile. Manifesti affissi nella piazza del Municipio annunciavano che tutti i cittadini dai 18 ai 60 anni per le donne, e fino ai 65 per gli uomini, dovevano presentarsi il giorno seguente all’alba, armati di pala e piccone.
LunedΓ¬ mattina, la piazza del Municipio era gremita di persone. Il comando tedesco, con la precisione che lo caratterizzava, aveva preparato una lista di nomi fornita dall’ufficio anagrafe. Non c’era modo di sottrarsi a quell’obbligo: chi non si fosse presentato avrebbe rischiato la deportazione in un campo di concentramento o, peggio, l’esecuzione sommaria.
Tra i convocati c’erano uomini e donne di ogni estrazione sociale. Perfino i sacerdoti, solitamente rispettati e lasciati in pace, erano stati costretti a partecipare, insieme a medici e impiegati comunali. Quella che doveva essere una normale giornata estiva si trasformava in una marcia forzata verso il ponte sul Chiampo, sotto il sole cocente e la sorveglianza dei soldati tedeschi armati.
Il compito assegnato ai montebellani era chiaro: scavare una grande fossa anticarro, un’opera monumentale destinata a rallentare l’avanzata delle truppe alleate. La fossa, lunga dieci chilometri e larga fino a cinque metri, doveva correre dal ponte sul Chiampo fino alle colline di Sarego, tagliando in due la campagna veneta. Era una missione disperata, un ultimo tentativo da parte dei tedeschi di guadagnare tempo mentre le loro forze si ritiravano verso le Alpi, dove speravano di organizzare una difesa finale.
Ogni giorno, sotto la supervisione della Todt, oltre mille persone lavoravano senza sosta, sfidando la fatica e il caldo soffocante. I meno giovani, soprattutto, faticavano a reggere il ritmo, ma l’alternativa era impensabile. I soldati tedeschi vigilavano attentamente, pronti a intervenire con la forza se il lavoro non fosse stato portato avanti con sufficiente rapiditΓ .
Per molti, il lavoro forzato era una condanna, ma anche un modo per sopravvivere. La Todt pagava coloro che lavoravano nella fossa, e sebbene le voci dicessero che il denaro distribuito fosse falso, quelle lire rappresentavano comunque una possibilitΓ  di acquistare il poco cibo disponibile. Ogni settimana, i lavoratori si radunavano per ricevere la loro paga, una cerimonia tanto assurda quanto necessaria in quel contesto di guerra.
Remo Schiavo, classe 1928, che in quel periodo lavorava a Montebello, racconta: Β« C’erano i soldi, io prendevo 40 lire al giorno, mio padre 60. Ci pagavano ogni settimana o dieci giorni. Con quella cifra potevamo comprare un chilo di carne […] ci pagavano con banconote nuove, si diceva che erano false e che i tedeschi se le stampavano. Ci pagavano in cortile, c’era un banchetto con un pagatore, una segretaria e un sorvegliante… Β».
Nonostante la brutalitΓ  della situazione, gli abitanti di Montebello non si lasciarono sopraffare. Seppur costretti a lavorare per il nemico, trovarono modi per resistere. Alcuni rallentavano deliberatamente il lavoro, sperando di sabotare, anche se in minima parte, il progetto tedesco. Altri cercavano di mantenere alto il morale, raccontandosi storie di speranza durante le brevi pause.
Questa resistenza passiva era forse l’unica arma rimasta a una popolazione stremata. Non c’erano armi da impugnare, nΓ© fortificazioni da difendere, ma c’era la determinazione a non cedere del tutto alla disperazione. Ogni gesto, ogni parola scambiata, diventava un atto di ribellione silenziosa contro l’occupante.
La grande fossa anticarro di Montebello non riuscΓ¬ a fermare l’avanzata degli Alleati, ma il suo significato va oltre la sua funzione militare. Essa rappresenta un monumento alla resilienza di una comunitΓ  che, nonostante tutto, riuscΓ¬ a mantenere la propria umanitΓ  in mezzo alla disumanitΓ  della guerra. I giorni di lavoro forzato sotto il sole rovente, sorvegliati da soldati armati, sono rimasti impressi nella memoria collettiva di Montebello, un ricordo doloroso ma anche una testimonianza di coraggio.
Alla fine, l’occupazione tedesca si concluse con la ritirata delle truppe e l’arrivo delle forze alleate. La fossa anticarro rimase come un segno indelebile del passaggio della guerra, ma anche come simbolo della capacitΓ  di resistenza di un popolo. Il ricordo di quei giorni continua a vivere nelle storie tramandate, non solo come memoria di sofferenza, ma anche come testimonianza di una forza d’animo che ha permesso a Montebello di sopravvivere agli orrori del conflitto.

Umberto Ravagnani

FOTO: Scavo del fossato anti-carro durante l’inverno 1943-44.
BIBLIOGRAFIA
: P. Savegnago, Le organizzazioni Todt e Poll in provincia di Vicenza, Padova, 2012.
A.Maggio – L.Mistrorigo, “Montebello Novecento“, 1997.

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LA PALA DELLA MADONNA DI MB

[404] LA PALA DELLA MADONNA DI MONTEBELLO
Un capolavoro riscoperto

Montebello Vicentino, un borgo che custodisce preziose testimonianze del passato, ha celebrato, negli anni 80 del Novecento, il ritorno di uno dei suoi tesori artistici piΓΉ importanti: la pala della Madonna di Montebello. Questo dipinto, dopo secoli di vicissitudini e un accurato restauro, Γ¨ stato riportato alla sua bellezza originaria e ha ripreso il suo posto nella Sala Consiliare del Comune. L’opera, risalente al 1670, offre una finestra sulla devozione e sull’identitΓ  culturale di una comunitΓ  che, attraverso i secoli, ha saputo preservare e valorizzare il proprio patrimonio.
Il dipinto della Madonna di Montebello nasce in un periodo di transizione per l’arte vicentina, quando la grande scuola pittorica del Cinquecento si stava spegnendo, lasciando spazio a nuovi stili e influenze. La comunitΓ  di Montebello, in cerca di affermare la propria identitΓ  e devozione, commissionΓ² questo dipinto a un pittore anonimo, il cui stile rivela l’influenza dei grandi maestri del Rinascimento, ma con un tocco di freschezza che anticipa il gusto del Settecento. Il dipinto fu concepito come un atto di fede e un simbolo della protezione divina sulla comunitΓ . Al centro della scena, la Vergine Maria Γ¨ raffigurata con il Bambino in braccio, un’immagine tradizionale ma carica di significato per i fedeli di questo paese. Ai lati della Madonna, troviamo i santi patroni di Montebello: San Daniele, profeta dell’Antico Testamento, e Santa Brigida, vergine d’Irlanda. Queste figure sacre sono state scelte non solo per la loro importanza spirituale, ma anche per il loro legame con le storie e le tradizioni locali.
La composizione della pala Γ¨ studiata nei minimi particolari per trasmettere un messaggio di fede e devozione. Al centro, la Vergine Maria Γ¨ seduta su un trono, con il Bambino GesΓΉ in braccio. Il volto della Madonna, sereno e dolce, Γ¨ rivolto verso i fedeli, mentre il Bambino, che tiene in mano una pianta di aquilegia, guarda verso il futuro, simboleggiando la Passione e il sacrificio che lo attendono. L’aquilegia, dal delicato colore rossastro, Γ¨ un richiamo diretto al sangue della Passione di Cristo, una prefigurazione del destino di sofferenza e redenzione.
La Madonna tiene in mano un Rosario, un simbolo della preghiera e della devozione cristiana. Il Rosario, con le sue perle che si susseguono una dopo l’altra, rappresenta il cammino spirituale del credente, un percorso di meditazione e riflessione sui misteri della fede. Questo elemento, centrale nella tradizione cattolica, rafforza il messaggio di fiducia e speranza che il dipinto vuole trasmettere.
A sinistra della Madonna, San Daniele Γ¨ raffigurato con un’espressione solenne. Il profeta, conosciuto per la sua saggezza e le sue visioni, incarna la forza della fede e la capacitΓ  di interpretare i segni divini. La sua presenza nel dipinto Γ¨ un richiamo alla necessitΓ  di una guida spirituale in tempi di incertezza e cambiamento.
Dall’altro lato, Santa Brigida Γ¨ rappresentata in una posa raccolta e umile, con in mano un giglio (in altri dipinti con una fiamma sul capo). Il giglio, fiore delicato e puro, simboleggia la verginitΓ  e la castitΓ  della santa, mentre la fiamma rappresenta il fuoco divino che, secondo la tradizione, apparve sopra la sua testa come segno della sua consacrazione a Dio. La scelta di Santa Brigida, una figura venerata sia in Irlanda che in Italia, sottolinea l’universalitΓ  del messaggio di fede trasmesso dal dipinto.
Un aspetto di grande interesse della Pala della Madonna di Montebello Γ¨ la presenza degli stemmi araldici che decorano la parte inferiore del dipinto. Questi stemmi, finemente dipinti, appartengono alla famiglia Sangiovanni e alla comunitΓ  di Montebello, e sono un chiaro segno del legame tra l’opera d’arte e la storia locale.
Lo stemma della famiglia Sangiovanni, posizionato a destra dell’iscrizione dedicatoria, Γ¨ diviso in due campi: nel campo superiore, un leone dorato avanza con maestosa sicurezza, simbolo di forza, coraggio e nobiltΓ . Nel campo inferiore, un albero verdeggiante si erge maestoso, rappresentando la concordia e l’unitΓ  familiare. Questo stemma non Γ¨ solo un elemento decorativo, ma una testimonianza della presenza e del ruolo della famiglia Sangiovanni nella comunitΓ  di Montebello.
A sinistra dell’iscrizione, lo stemma comunale di Montebello Γ¨ raffigurato con tre torri merlate rosse su uno sfondo celeste, un simbolo della cittΓ  e della sua storia. Le torri, elemento centrale dello stemma, rappresentano la forza e la resistenza della comunitΓ  nel corso dei secoli, un baluardo contro le avversitΓ  e le minacce esterne.
Dopo secoli di esposizione e interventi non sempre adeguati, la Pala della Madonna di Montebello era giunta in uno stato di degrado tale da richiedere un restauro urgente. GiΓ  nel 1897, il Prevosto Giuseppe Capovin aveva tentato di salvare l’opera, affidando il compito a Felice Castegnaro, un giovane pittore di Montebello. Tuttavia, l’intervento del Castegnaro si rivelΓ² piΓΉ una ridipintura che un vero e proprio restauro, alterando in modo significativo l’aspetto originale del dipinto.
È solo grazie all’ultimo intervento di restauro, opera di Lino Lovato, eseguito con grande cura e attenzione, che la pala Γ¨ stata finalmente riportata alla sua forma originaria. Questo restauro ha permesso di eliminare le sovrapposizioni di colore che si erano accumulate nel corso dei secoli, restituendo alla comunitΓ  un’opera che Γ¨ ora piΓΉ vicina a quella che era nel 1670. Ogni dettaglio, dalla delicatezza dei volti alla vividezza dei colori, Γ¨ stato recuperato, permettendo ai fedeli di riscoprire la bellezza e il significato profondo del dipinto.
Il ritorno della pala della Madonna di Montebello nella sua collocazione originaria ha suscitato un profondo senso di orgoglio e appartenenza nella comunitΓ . Questo dipinto non Γ¨ solo un’opera d’arte, ma un pezzo di storia che racconta la devozione, le speranze e le vicissitudini di generazioni di montebellani. Il restauro della pala ha riacceso l’interesse per il patrimonio culturale locale, stimolando un rinnovato impegno per la sua conservazione e valorizzazione.
La storia della pala della Madonna di Montebello Γ¨ un racconto di fede, arte e perseveranza. Il restauro di Lino Lovato ha permesso di riportare alla luce un capolavoro nascosto, restituendo alla comunitΓ  un pezzo fondamentale della sua storia. Questo dipinto, con la sua bellezza e il suo significato profondo, continua a ispirare e a unire la comunitΓ , ricordando l’importanza di preservare e valorizzare il nostro patrimonio culturale.

Umberto Ravagnani

BIBLIOGRAFIA: V. NORI, Montebello Vicentino – La Storia illustrata, 1988.
R.SCHIAVO, Montebello Vicentino – Storia e Arte, 1992.
FOTO: La pala della Madonna di Montebello nella Sala Consiliare del Comune (foto Umberto Ravagnani).

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NOTTE DI PAURA AL BORGO

[403] NOTTE DI PAURA AL BORGO DI MONTEBELLO
Notte di tensione e paura per il rischio di alluvione

Il 28 ottobre 1953 il β€œGiornale di Vicenza” apriva con questo titolone che interessava tutta la valle dell’Agno-GuΓ : β€œPericolosi straripamenti e vaste frane per il maltempo nella valle dell’Agno”. La Valle dell’Agno stava vivendo ore drammatiche a causa di un maltempo che sembrava non voler cessare. Da giorni, la pioggia cadeva ininterrotta, ingrossando fiumi e torrenti fino a farli straripare. Le conseguenze erano devastanti: strade interrotte, abitazioni minacciate, e frane che stavano mettendo a rischio intere comunitΓ .
A San Quirico, una frana aveva travolto un muro di sostegno, provocando il crollo del tetto di una casa appena costruita. Fortunatamente, nessuno era presente al momento del disastro, evitando così una possibile tragedia. Ma il pericolo era ovunque: il torrente Agno, gonfio e minaccioso, aveva eroso le sue sponde in diversi punti, avvicinandosi pericolosamente alle abitazioni.
A Cornedo, la situazione non era meno critica. Il Rio di San Sebastiano aveva superato gli argini, allagando case e strade. Il metanodotto che attraversa la zona era a rischio, e squadre di tecnici lavoravano senza sosta per evitare danni alle condutture. La nuova diga sull’Agno, costruita di recente, era in grave difficoltΓ : le acque impetuose stavano mettendo a dura prova la sua resistenza.
Anche a Brogliano, l’Agno aveva distrutto le difese degli argini, costringendo alcune famiglie a evacuare le loro case. Il torrente aveva eroso profondamente la terra, minacciando di inghiottire i campi vicini. Operai e volontari lavorarono giorno e notte, cercando di arginare l’avanzata dell’acqua, ma la situazione rimaneva critica.
Le autoritΓ  locali monitoravano la situazione con estrema attenzione, mentre la popolazione attendeva con il fiato sospeso. Con le previsioni che annunciavano ancora pioggia, la speranza era che il peggio fosse ormai passato, ma la realtΓ  lasciava poco spazio all’ottimismo.
A Montebello una notte di tensione e paura ha sconvolto la contrada del Borgo, quando le autoritΓ  hanno ordinato l’evacuazione immediata a causa del rischio di una possibile alluvione. Le piogge torrenziali che da giorni colpivano la regione avevano ingrossato il torrente GuΓ , mettendo sotto pressione il bacino di laminazione che proteggeva e protegge, ancora oggi, l’abitato di Montebello.
Intorno alla mezzanotte, il Questore di Vicenza, insieme al capo del Genio Civile, si Γ¨ recato nella zona per valutare la situazione. Il tratto di strada statale 11 (oggi Strada Regionale 11), che funge anche da argine per il bacino, stava mostrando segni di cedimento, con infiltrazioni d’acqua che iniziavano a manifestarsi in vari punti. Di fronte alla crescente preoccupazione che l’argine potesse cedere sotto la pressione di oltre quattro milioni di metri cubi d’acqua, Γ¨ stata presa la difficile decisione di evacuare le trenta famiglie che risiedevano allora al Borgo.
Le forze dell’ordine si sono subito attivate, svegliando gli abitanti nel cuore della notte e informandoli dell’urgenza della situazione. Le famiglie, ancora assonnate e colte di sorpresa, hanno avuto solo pochi minuti per raccogliere i beni essenziali e abbandonare le loro case. Le Scuole Comunali e l’Asilo sono stati rapidamente trasformati in rifugi temporanei, dove molti residenti hanno trovato un riparo sicuro, mentre altri sono stati accolti da parenti e amici. Nel frattempo, i tecnici del Genio Civile, insieme ai vigili del fuoco, hanno lavorato incessantemente per monitorare la situazione. L’acqua accumulata nel bacino rappresentava una minaccia concreta, e la possibilitΓ  di un cedimento dell’argine non poteva essere esclusa. La pressione sull’argine della strada statale 11, sotto costante osservazione, era un elemento di grande preoccupazione per tutti.
Con l’arrivo dell’alba, le prime notizie positive hanno iniziato a diffondersi tra le famiglie evacuate. Il livello dell’acqua nel bacino stava lentamente diminuendo, riducendo la pressione sull’argine. Tuttavia, le autoritΓ  hanno deciso di mantenere l’evacuazione fino a quando non fosse stata garantita la totale sicurezza dell’area.
Nel corso della giornata, la situazione Γ¨ gradualmente migliorata. Il livello dell’acqua nel bacino Γ¨ continuato a calare, e i tecnici hanno finalmente potuto confermare che l’argine aveva retto. Solo nel pomeriggio Γ¨ stato dato il via libera per il ritorno delle famiglie alle loro case. Il sollievo era palpabile tra gli abitanti di Borgo, che avevano temuto il peggio.
Montebello Γ¨ tornata alla normalitΓ , ma la notte di paura rimarrΓ  impressa nella memoria della comunitΓ . Le autoritΓ  locali hanno promesso di rafforzare le misure di sicurezza per evitare che una simile emergenza possa ripetersi in futuro. Gli abitanti del Borgo, dopo l’esperienza vissuta, hanno riscoperto il valore della solidarietΓ  e della prontezza nell’affrontare le emergenze, sapendo di poter contare sulla propria comunitΓ .
Nel 1981 furono eseguiti alcuni lavori di ristrutturazione tra cui: una ulteriore sopraelevazione e rafforzamento della diga. Asportazione di circa 300.000 mc. di fondo sabbioso depositato nei tanti anni di esercizio. Questi interventi portarono la capacitΓ  totale del bacino a 5.600.000 mc.
Nei molti anni di attivitΓ , il bacino di Montebello Γ¨ stato messo in azione in occasione di oltre 120 piene, dimostrando la sua grande utilitΓ  nel proteggere il territorio dalle frequenti ondate di piena dell’Agno-GuΓ .
Quest’anno, a Montebello, sono ufficialmente iniziati i lavori di ampliamento del bacino di laminazione, un passo importante nel progetto avviato dalla Regione. Due anni fa, la Regione ha pubblicato un bando di gara per estendere la grande cassa di espansione, con l’obiettivo di aumentare la capacitΓ  dell’invaso di 3 milioni di metri cubi d’acqua. L’investimento totale supera i 55 milioni di euro, distribuiti in tre fasi distinte. Il progetto prevede la costruzione di un bacino di supporto accanto a quello giΓ  esistente, permettendo cosΓ¬ di gestire meglio l’acqua in eccesso dai torrenti GuΓ  e Chiampo e raggiungere una capacitΓ  complessiva di quasi 9 milioni di metri cubi. (Per notizie sulla costruzione del Bacino di espansione di Montebello vedi l’articolo [206] IL BACINO DI MONTEBELLO).

Umberto Ravagnani

FOTO: Il Bacino di espansione di Montebello Vicentino in funzione il 17 maggio 2013, dopo le intense piogge dei giorni precedenti (foto Umberto Ravagnani).
FONTE
: – Il Giornale di Vicenza del 28 ottobre 1953 (Biblioteca Bertoliana di Vicenza).

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ANTONIO AGOSTINI

[402] ANTONIO AGOSTINI
Una vita dedicata alla Medicina (1819-1909)

Antonio Agostini Γ¨ stato una figura emblematica della medicina italiana del XIX secolo. Nato a Montebello Vicentino il 17 agosto 1819, figlio di Giuseppe e Toscana Santa, Antonio Agostini ha lasciato un segno indelebile nel campo della salute pubblica e della medicina attraverso il suo instancabile impegno, le sue pubblicazioni innovative e il suo lavoro pionieristico negli ospedali. Scopriamo insieme la vita e le opere di questo straordinario medico.
Antonio Agostini trascorse gli anni formativi tra Vicenza e Verona, dove completΓ² gli studi primari e secondari. Nel 1845 si laureΓ² in medicina e chirurgia presso l’UniversitΓ  di Padova, una delle istituzioni piΓΉ prestigiose dell’epoca. L’anno seguente, decise di migliorare le sue competenze trasferendosi a Vienna, dove studiΓ² presso l’Istituto di perfezionamento operatorio. Questo periodo a Vienna fu cruciale, poichΓ© gli permise di apprendere tecniche chirurgiche avanzate e di sviluppare una solida base scientifica. Nel 1849, Agostini si stabilΓ¬ a Verona e iniziΓ² a lavorare negli ospedali locali. La sua dedizione e abilitΓ  lo portarono rapidamente a distinguersi. Nel 1854, fu nominato medico d’ufficio della Direzione delle Ferrovie, un ruolo che comportava una grande responsabilitΓ  nella cura dei lavoratori ferroviari. Nel 1861, assunse la direzione dell’Ospizio Provinciale degli Esposti e MaternitΓ  di Verona, dove rimase fino al 1888. Durante questo periodo, Agostini introdusse numerose innovazioni che migliorarono le condizioni di vita degli ospiti dell’ospizio, dimostrando una straordinaria capacitΓ  organizzativa e un profondo senso di umanitΓ .
Antonio Agostini fu un autore prolifico e un ricercatore instancabile. La sua prima grande opera fu una dissertazione in latino sul medico umanista NicolΓ² Leoniceno, scritta nel 1844. Questo segnΓ² l’inizio di una lunga carriera accademica caratterizzata da numerose pubblicazioni su vari argomenti medici.
Tra i suoi lavori piΓΉ importanti vi sono studi sulla contrattura e l’anchilosi del ginocchio, il parto prematuro, l’aborto provocato e il virus sifilitico. Le sue ricerche erano sempre orientate a trovare soluzioni pratiche ai problemi medici dell’epoca, concentrandosi sulla prevenzione e il trattamento efficace delle malattie.
Agostini scrisse anche osservazioni sulla costituzione fisica della popolazione della provincia di Verona e condusse studi sui trovatelli e sulle case di maternitΓ  in Germania. Questi lavori dimostrano il suo profondo interesse per la salute pubblica e il benessere delle comunitΓ , nonchΓ© la sua capacitΓ  di applicare metodi scientifici rigorosi alla ricerca medica.
Il lavoro di Antonio Agostini fu ampiamente riconosciuto, sia a livello nazionale che internazionale. Fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia, un prestigioso riconoscimento per i suoi contributi alla medicina. La sua carriera accademica culminΓ² con la nomina a membro effettivo dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona nel 1871. In questo ruolo, si distinse per la sua attivitΓ  scientifica e per il suo servizio come presidente dal 1881 al 1883.
Agostini dedicΓ² gran parte della sua vita alla salute pubblica. Fu presidente del Comitato Sanitario Veronese e dell’Associazione per gli Ospizi Marini, organizzazioni che miravano a migliorare le condizioni sanitarie della popolazione. Le sue ricerche contribuirono a migliorare la pratica medica e le politiche sanitarie dell’epoca. Fu un precursore nel campo dell’igiene pubblica, e molte delle sue raccomandazioni sono ancora rilevanti oggi. Agostini scrisse su una vasta gamma di argomenti. Tra le sue pubblicazioni piΓΉ importanti vi sono studi sui trovatelli e le case di maternitΓ  in Germania, il governo degli esposti, l’Ospizio Provinciale degli Esposti e MaternitΓ  di Verona e quello di Milano. Inoltre, scrisse massime di igiene popolare e osservazioni mediche e medico-veterinarie per la provincia di Verona.
Le sue lettere su Recoaro e una cantica sul colera del 1855, così come il sunto delle lezioni sulla flebite del Prof. G. Pacchiotti, sono testimonianze del suo impegno a divulgare conoscenze mediche. Questi scritti sono ancora considerati fondamentali per lo studio della storia della medicina e della salute pubblica.
Antonio Agostini era noto per il suo impegno e la sua passione per la medicina. La sua attivitΓ  non si limitava alla pratica medica, ma includeva anche l’insegnamento e la ricerca. Fu consigliere comunale a Verona per un decennio, influenzando le politiche sanitarie locali.
La sua nomina a membro dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona nel 1871 e il suo ruolo di presidente testimoniano il rispetto e l’ammirazione che i suoi colleghi avevano per lui. La sua attivitΓ  scientifica copriva una vasta gamma di argomenti, dalle malattie infettive alla salute materna e infantile.
L’ereditΓ  di Antonio Agostini Γ¨ vasta e duratura. La sua dedizione alla cura dei piΓΉ vulnerabili e il suo impegno per migliorare la salute pubblica sono esempi di come la passione e l’impegno possano avere un impatto duraturo sulla societΓ .
Agostini Γ¨ ricordato non solo per le sue scoperte scientifiche, ma anche per la sua umanitΓ  e il desiderio di migliorare la vita degli altri. Il suo lavoro negli ospedali di Verona e il suo impegno nella salute pubblica hanno lasciato un segno indelebile nella storia della medicina italiana.
Antonio Agostini Γ¨ stato un vero pioniere della medicina. La sua ereditΓ  continua a vivere attraverso le istituzioni e le persone che traggono ispirazione dal suo lavoro e dai suoi ideali.

Umberto Ravagnani

FONTI: – Necrologio di Antonio Agostini redatto dal segretario dell’Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio di Verona, Giuseppe Biadego, 16 marzo 1909 (Biblioteca Bertoliana – Vicenza).
– Archivio storico dell’Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere di Verona.
FOTO: L’imponente portale d’ingresso di Palazzo Erbisti, sede dell’Accademia dell’Agricoltura, delle Scienze e delle Lettere di Verona.

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ARTURO COSTA

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UNA CURVA MORTALE

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IL VIOLINO E IL DESTINO

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MEMORIE DI ZONDERWATER

[398] MEMORIE DI ZONDERWATER
Un racconto di prigionia e speranza nella Seconda Guerra Mondiale

Oggi vi raccontiamo una storia poco conosciuta della Seconda Guerra Mondiale, che si svolge in un campo di prigionia molto lontano dall’Italia, a Zonderwater, in Sudafrica. Questa vicenda ci viene narrata dalla nostra concittadina Elisa Longarato, che negli ultimi anni ha dedicato tempo e passione a raccogliere testimonianze e notizie per ricostruire la prigionia di suo padre Vittorio in quel luogo.
Elisa ha partecipato, il 21 marzo 2024, a un evento organizzato dalla ‘The University of Sidney‘ e dalla ‘New York University‘ che si Γ¨ tenuto al ‘John D. Calandra Italian American Institute‘ di New York, collegandosi in remoto da casa sua. In quell’occasione, ha raccontato con emozione e in inglese la storia della prigionia di suo padre Vittorio in Sudafrica durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha descritto le difficili condizioni di vita, la lontananza dalla patria e dagli affetti e come suo padre e i suoi compagni riuscirono a trovare forza e speranza in una situazione cosΓ¬ disperata.
Circa un mese dopo, Elisa Γ¨ stata invitata in persona a un altro evento a New York che si Γ¨ svolto in due giorni. Il 23 aprile 2024 presso il ‘Center for Italian Modern Artβ€˜ (CIMA ) e il 24 aprile presso la ‘NYU Casa Italiana Zerilli-MarimΓ²‘. Il primo giorno, l’evento era intitolato β€œPreservare i ricordi della prigionia di guerra e la loro ereditΓ ” e aveva l’obiettivo di mantenere viva la memoria di queste esperienze dolorose ma significative. Durante questo incontro, Elisa ha riproposto, insieme ad altri testimoni collegati da vari Paesi del mondo, la storia di suo padre Vittorio, condividendo aneddoti e dettagli che hanno reso la narrazione ancora piΓΉ intensa e coinvolgente.
Il secondo giorno il tema era ‘Suoni di prigionia: Musica dei prigionieri italiani durante la seconda guerra mondiale‘. Dopo la presentazione e il concerto del Maestro Francesco Lotoro su musiche composte in prigionia, si Γ¨ tenuta una lezione con gli studenti della New York University. I ragazzi hanno osservato con attenzione i libri, le lettere, gli oggetti che Vittorio si era portato dalla prigionia; in particolare il banjo-mandolino costruito con mezzi di fortuna lavorando di notte. Hanno espresso le loro opinioni e fatto domande alle quali Elisa ha risposto raccontando particolari della vita in guerra e prigionia di suo padre. Elisa Γ¨ stata molto colpita dall’interesse sulla storia dei prigionieri italiani dei ragazzi β€œamericani” provenienti da vari paesi del mondo.
La testimonianza di Elisa Γ¨ fondamentale per mantenere vivi i ricordi delle difficoltΓ  affrontate dai prigionieri di guerra e per comprendere meglio la nostra storia collettiva. L’impegno di Elisa nel preservare questi ricordi rappresenta un omaggio alla resilienza e al coraggio di suo padre e di tutti coloro che hanno condiviso la sua sorte. Grazie a persone come Elisa, queste storie non vengono dimenticate e continuano a ispirare le generazioni future, ricordando a tutti noi il valore della memoria e dell’umanitΓ  anche nei momenti piΓΉ bui.
Ecco il suo racconto, il 21 marzo, da casa sua in collegamento da remoto e poi, il 23 aprile, da New York:

IL RACCONTO EMOZIONANTE DI ELISA TRA MONTEBELLO E NEW YORK


LEGGI...

Β« Sono Elisa Longarato e ringrazio Elena Bellina (New York University) e Giorgia AlΓΉ (Sidney University) per l’invito. È un onore per me partecipare a questo incontro. Mi scuso in anticipo per il mio pessimo inglese.
Vi racconterΓ² di mio padre, Vittorio Longarato, che combattΓ© in Nord Africa nell’8Β° Rgt. Bersaglieri, durante la Seconda Guerra Mondiale, e della sua prigionia in Egitto e poi in Sud Africa fino al 1947.
Vorrei riassumere il percorso che mi ha portato a dedicarmi alla β€œmissione” di rintracciare la prigionia di mio padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Fino a circa quindici anni fa non avevo mai sentito il nome β€œZonderwater”. Mio padre ha parlato poco della guerra e pochissimo della sua prigionia, solo negli ultimi anni della sua vita ha raccontato qualcosa ai miei fratelli e pezzo dopo pezzo ora stiamo ricostruendo la sua storia. Sapevo solo che era stato ferito in una battaglia nel deserto tra Libia ed Egitto nel 1941, e che lo credevano morto. Fu salvato da un medico tedesco, anche lui prigioniero, che lo tirΓ² fuori dal mucchio dei cadaveri dei soldati. Dopo due mesi trascorsi al General Hospital di Geneifa in Egitto, e un altro mese nelle β€œgabbie” egiziane, Γ¨ stato trasferito in Sud Africa, prima vicino a Durban e poi vicino a Pretoria. Quando tornΓ² a casa, nel febbraio del 1947, aveva con sΓ© una valigia di latta (fatta con barattoli di marmellata) piena di libri provenienti dalla biblioteca del campo allora quasi abbandonato, una valigia di cartone con alcuni oggetti personali, alcuni vestiti, una coperta e il suo banjo-mandolino e i quaderni con la musica che scrisse a Zonderwater.
RealizzΓ² il banjo-mandolino con il legno di una panca del campo, con la pelle di un coniglio, la ghiera di una bomba, il dorso di un pettine, mezzi bottoni di madreperla e fili metallici per le corde, presi dai cavi dei freni delle motociclette.
Circa quindici anni fa ho iniziato a leggere e a riordinare centinaia di lettere che scrisse durante i suoi 10 anni lontano da casa (1937-1947 militare-guerra-prigionia). Nel 2010 ho letto il libro β€œI Diavoli di Zonderwater” di Carlo Annese, (scrittore e giornalista sportivo che era stato in Sud Africa per i Mondiali di calcio).
Mi resi conto che mio padre era stato a Zonderwater!
Poi per caso ho scoperto che in un libro scritto da un Generale dell’8Β° Rgt. Bersaglieri viene menzionata l’azione di mio padre nella battaglia denominata β€œOperazione Brevity” avvenuta il 15 maggio 1941 a Sollum-Capuzzo-Halfaya, dove mio padre rimase gravemente ferito. Ho saputo che il campo di prigionia in Egitto era il Campo 306 a Geneifa e che i campi in Sud Africa erano a Pietermaritzburg e Zonderwater.
Ho fatto qualche ricerca online e non c’era niente su Zonderwater. Poi ho trovato un gruppo Facebook appena aperto su Zonderwater a cui mi sono iscritta e nel novembre 2011 sono andata con altri membri del gruppo in Sud Africa. Abbiamo incontrato il presidente dell’Associazione Zonderwater Block ex POW, Sig. Emilio Coccia. Abbiamo visitato l’area in cui si trovavano i due campi e abbiamo partecipato alla cerimonia la prima domenica di novembre al cimitero di Zonderwater (era il 70Β° anniversario dell’apertura del campo).
Poi, ho deciso di creare www.zonderwater.com, un sito web collegato alla nostra pagina Facebook, dove avrei potuto creare un database con informazioni e immagini sulla prigionia di guerra italiana e sui soldati detenuti in Sud Africa, dove i discendenti di altri prigionieri avrebbero potuto pubblicare informazioni e foto dei loro parenti. Queste informazioni sono soggette a revisione e approvazione. Mio nipote mi ha aiutato a creare il sito web.
Sono rimasta in contatto con Emilio Coccia. Finora, attraverso il sito e la pagina Facebook, ho ricevuto migliaia e migliaia di email con richieste di informazioni da parte di parenti di ex prigionieri di guerra. Di solito li consiglio su come svolgere le loro ricerche e li metto in contatto con Emilio Coccia per avere informazioni sui loro parenti registrati nell’archivio Zonderwater dell’Associazione.
Sono tornata in Sud Africa nel novembre 2017 con un altro gruppo. Durante la cerimonia ho avuto l’onore di deporre una corona insieme a Paolo Ricci, allora l’ultimo prigioniero di guerra vivente di Zonderwater in Sud Africa (morto nel 2022). Era il 70Β° anniversario della chiusura del campo (1947-2017). Ad oggi il gruppo Facebook conta circa 2.000 membri.
Ogni anno organizziamo un raduno (escluso il periodo pandemico). L’anno scorso abbiamo organizzato il nostro incontro annuale a Roma ed Γ¨ stata la prima volta senza prigionieri di guerra. Sfortunatamente, sono tutti morti. Emilio Coccia era presente come sempre.
Zonderwater Γ¨ ricordata come β€œLa cittΓ  del prigioniero”. Molti soldati italiani catturati dagli inglesi nell’Africa settentrionale e orientale furono imbarcati su navi dirette a Durban in Sud Africa. Una volta sbarcati venivano caricati sui treni con destinazione finale il campo di prigionia di Zonderwater.
Prima di raggiungere la loro destinazione, i prigionieri venivano fermati nel campo di transito di Pietermaritzburg, situato a 75 chilometri da Durban. Il campo ha funzionato come pronto soccorso, medico e struttura di controllo, lavaggio, disinfezione e ristoro. Quindi i prigionieri di guerra venivano rimessi sul treno diretto a Zonderwater.
Tuttavia, molti prigionieri rimasero a Pietermaritzburg per tutto il periodo di cattivitΓ . In alcuni periodi il campo ospitava fino a 8.000 uomini.
Zonderwater vicino a Cullinan (43 Km da Pretoria), il piΓΉ grande campo di prigionia di guerra costruito dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, ospitΓ² piΓΉ di 100.000 soldati italiani dall’aprile 1941 al gennaio 1947.
Nonostante la guerra fosse finita nel 1945, il campo venne chiuso solo nel 1947 a causa dei ritardi nel rimpatrio dei prigionieri. Tuttavia, molti ex prigionieri decisero di rimanere in Sud Africa.
L’avventura umana di Zonderwater parte dalla tendopoli del 1941, trasformata nel 1943 (con il colonnello Prinsloo) in quell’enorme e permanente centro abitato formato da mattoni rossi e costruzioni in legno destinato poi a diventare quasi una leggenda: 14 blocchi, ciascuno composto da 4 campi (56 in totale). Ogni campo ospitava 2.000 uomini, quindi, un blocco poteva ospitare 8.000 prigionieri. Nel complesso, Zonderwater aveva una capacitΓ  totale di 112.000 uomini.
Il 2 novembre 1947, un gruppo di ex prigionieri di guerra in Sud Africa tornΓ² sul posto per mantenere aperto il cimitero e organizzΓ² cerimonie commemorative. Questa struttura basata sul servizio volontario Γ¨ stata formalizzata nel 1965 con la fondazione dell’Associazione Zonderwater Block ex POW. L’attuale presidente dell’Associazione, Emilio Coccia, Γ¨ in carica dal 2000. Zonderwater Γ¨ stata visitata per la prima volta nel 2002 dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi.
Grazie.
Elisa Longarato Β»

FOTO: 1) Elisa Longarato racconta la storia di suo padre Vittorio dal “Center for Italian Modern Art“, a New York il 23 aprile 2024.
2) La valigetta con alcuni oggetti personali di Vittorio Longarato. Elisa, in occasione del suo intervento a New York ha esibito il banjo-mandolino costruito da suo padre durante la prigionia (cortesia Elisa Longarato).

Umberto Ravagnani

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GEMMA CENZATTI

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DUE VIVANDIERE AUSTRIACHE

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NASCE IL MERCATO A MONTEBELLO

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FRA LUIGI MARIA VERLATO

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L’ORIGINE DELLA CHIESA DI SELVA

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CASERME E SOLDATI A MONTEB.

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LA SAGA DEI MALTRAVERSO

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DON DOMENICO GIAROLO

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INGENTE PASSAGGIO DI PROPRIETΓ€

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ANTICHI MESTIERI A MONTEBELLO

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DON ANGELO CRASCO

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IL MATRIMONIO S’HA DA FARE

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L’AMBULANZA VOLANTE A MONTEB.

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DON GIROLAMO DALLA-BARBA

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STORIA DI ORDINARIA…BURO

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COGNOMI MOLTO LONGEVI

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