IL CALZOLAIO FILOSOFO

IL CALZOLAIO FILOSOFO

[444] TONI IL CALZOLAIO SENZA BOTTEGA
Un uomo, un banco da lavoro, e la politica nel sangue

Β 

In un tempo in cui l’Italia era attraversata da fermenti, marce e silenzi forzati, a Montebello, c’era un uomo che, senza mai alzare la voce, riusciva a farsi ascoltare. Si chiamava Toni Cela. Nessun cognome registrato, nessuna insegna sopra una porta a reclamare il suo mestiere. Solo “Toni“, il calzolaio. Ma definirlo cosΓ¬ sarebbe riduttivo, quasi offensivo. PerchΓ© Toni Cela, piΓΉ che un artigiano, era una mente pensante, uno spirito libero infilato nel corpo minuto di un uomo qualunque, che viaggiava con le mani impastate di colla e la testa immersa nei destini del mondo.
Toni Cela non aveva una bottega, nΓ© un posto fisso che si potesse chiamare casa. Era un artigiano ambulante, uno di quelli che si spostavano di famiglia in famiglia, di casa in casa, con il suo piccolo tavolino da lavoro, qualche strumento legato con lo spago, e l’aria riservata di chi ha piΓΉ da dire che da mostrare. Restava in un luogo per due, tre giorni al massimo: il tempo necessario per rimettere in sesto tutte le scarpe rotte di quella famiglia. Scarpe da uomo, da donna, da bambino: Toni Cela non faceva distinzioni, e riusciva a ridare vita anche alle pelli piΓΉ consumate. Lo compensavano in parte con qualche moneta, ma piΓΉ spesso con un piatto caldo e un letto per la notte. Non si lamentava mai: sembrava vivere con poco, ma pensare in grande.
E giΓ  questo lo rendeva diverso. Ma c’era qualcosa in piΓΉ. Toni Cela aveva un’intelligenza particolare, di quelle che non impari sui banchi di scuola, ma che ti sbocciano dentro come un senso innato delle cose. Aveva studiato appena qualche anno, giusto il minimo per leggere e scrivere, ma parlava come uno che aveva attraversato enciclopedie intere. Il suo vero campo d’azione, perΓ², non era il suo lavoro. Era la politica.
Non che fosse un attivista: Toni Cela non manifestava, non distribuiva volantini, non prendeva parte a partiti o raduni. E, soprattutto, non era iscritto al Partito Fascista, un’assenza che, in quegli anni, poteva voler dire molto piΓΉ di un semplice β€œno grazie”. Il fascismo, che invadeva l’Italia a colpi di propaganda, parate e saluti romani, a lui non diceva nulla. O meglio: diceva troppo, e Toni lo analizzava, lo smontava, lo confrontava con ciΓ² che succedeva altrove, nel mondo. Parlava di Mussolini e di Hitler, ma anche di Roosevelt e Stalin, con una luciditΓ  che stupiva chiunque avesse l’occasione di ascoltarlo.
Come facesse a restare cosΓ¬ aggiornato, senza radio, giornali quotidiani nΓ© accesso regolare all’informazione, rimaneva un mistero. Ma Toni Cela era sempre informato, e su questioni complesse: non solo gli eventi principali, ma anche le dinamiche, le cause, le implicazioni. Sapeva che un colpo di Stato in Spagna avrebbe avuto ripercussioni sulla politica italiana, e capiva che certe decisioni economiche di Londra si sarebbero fatte sentire nei mercati agricoli del Sud. Non era magia. Era attenzione, ascolto, memoria.
Toni Cela ascoltava tutto, e tutti. Quando lavorava dietro al suo tavolino, piegato a martellare il cuoio, sembrava assorto nel gesto. Ma in realtΓ , mentre le mani danzavano su suole e cuciture, la testa lavorava a pieno regime. Se qualcuno parlava, lui assorbiva ogni parola. Se qualcuno chiedeva, rispondeva. E quando gli andava di dire la sua, lo faceva con una calma che lasciava tutti in silenzio.
Il suo tavolino, allora, si trasformava. Da semplice banco da lavoro diventava una vera e propria β€œtavola rotonda”, dove chiunque poteva sedersi attorno, ascoltare, discutere. Uomini del paese, donne curiose, ragazzi in cerca di storie: tutti si fermavano a guardare quel piccolo miracolo artigianale β€” una scarpa che tornava nuova β€” e finivano a parlare di cose ben piΓΉ grandi. A Toni Cela spettava sempre la parola conclusiva. Non per autoritΓ , ma per merito: perchΓ© sapeva dare un senso compiuto a tutto, anche ai pensieri degli altri.
Eppure, non c’era nulla di presuntuoso in lui. Era un uomo schivo, quasi timido, che non cercava il palcoscenico. Non alzava la voce, non imponeva le sue idee. Ma le sue parole avevano peso, perchΓ© erano il frutto di riflessioni meditate, argomentate, coerenti. Non si lasciava incantare dai proclami ufficiali, anzi. Sfidava le versioni di regime con la naturalezza di chi non ha paura di pensare con la propria testa. E questo lo rendeva, senza saperlo, un piccolo dissidente. Non urlava la sua opposizione, ma la praticava ogni giorno, con il semplice atto di pensare in libertΓ .
Toni Cela non aveva famiglia, nΓ© moglie nΓ© figli. Forse per scelta, forse per destino. Ma non era un uomo solo. Anzi, aveva sempre qualcuno intorno. Chi lo ospitava per qualche giorno finiva per affezionarsi. Si diceva che bastava un pasto condiviso e qualche parola scambiata per capire che quell’uomo, con le mani callose e gli occhi attenti, era una presenza preziosa. Non dava fastidio, non pretendeva nulla, ma lasciava qualcosa dietro di sΓ©: un’idea, un dubbio, una riflessione che restava anche dopo la sua partenza.
Nonostante la sua vita errante, Toni Cela non era un emarginato. Era rispettato. Anche da chi la pensava diversamente. Perché non cercava lo scontro, ma il confronto. E anche se non aveva le armi della retorica, aveva quelle più affilate del buon senso e della logica. Parlava di politica come si parla di cose di casa: con concretezza, con attenzione al dettaglio, con la consapevolezza che ogni scelta pubblica ha ricadute private. Era questo che lo rendeva così ascoltato: parlava di Mussolini, sì, ma lo faceva parlando anche di lavoro, di fame, di figli da mandare a scuola, di scarpe da riparare.
Forse era proprio questo il cuore del suo pensiero: la convinzione che la politica non fosse roba da ministri e tribuni, ma una faccenda di tutti. Una rete di decisioni che toccano la vita quotidiana. E Toni Cela, che la vita la conosceva da vicino, sapeva bene di cosa parlava.
Non lasciΓ² libri, nΓ© diari, nΓ© testimonianze scritte. La sua ereditΓ  era orale, sparsa nelle memorie di chi l’aveva ascoltato almeno una volta. Ma chi lo conobbe, anche solo per pochi giorni, non lo dimenticΓ². Lo ricordavano per come ti guardava mentre parlavi, per come sapeva ridare forma a una scarpa e senso a una conversazione. Lo ricordavano per la coerenza silenziosa, per la dignitΓ  semplice, per il coraggio di non piegarsi.
Toni Cela se ne andΓ² come era vissuto: senza clamori, senza rumore. Ma con la coscienza pulita e le mani ancora segnate dal cuoio. Un calzolaio errante, sΓ¬, ma anche un pensatore lucido, un uomo libero, un piccolo faro acceso in un’Italia che spesso brancolava nel buio.

IMMAGINE: Grafica di fantasia che mostra un vecchio calzolaio al lavoro (elaborazione Umberto Ravagnani).
BIBLIOGRAFIA: – V.Nori, “Montebello Vicentino”, Vicenza, 1988.
– L.Mistrorigo, A.Maggio, “Montebello Novecento”, Montebello Vicentino, 1997.

Umberto Ravagnani

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