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UNA CURVA MORTALE

[400] UNA CURVA MORTALE
Una cronaca di tragedie e speranza

CosΓ¬ scriveva il Corriere della Sera del 7 ottobre 1967 in riferimento alla strada statale 11 all’altezza della cosiddetta “curva de Maieto“, a Montebello Vicentino:
Β« Una curva mortale. Ippocastani scortecciati, paracarri divelti o spezzati, autovetture accartocciate, autocarri ribaltati, autotreni che riversano Il loro carico sulla strada: Questi e altri incidenti spesso mortali si ripetono con sconcertante frequenza nella tristemente famosa curva dl Montebello Vicentino. Intervento dl autoambulanze, carri attrezzi, polizia, carabinieri col solito rito dei rilievi constatazioni, Interruzioni, misure, documentazioni fotografiche: ma ben altre misure si richiedono. Anzitutto quelle elementari di prevenzione rafforzando la segnaletica. Quanto agli autisti che si accingono ignari ad abbordare la curva, specie se viscida per la pioggia, non Γ¨ da addebitare loro Integralmente lo scarso uso di prudenza. I paracarri, scrupolosamente rimpiazzati dopo ogni incidente, persistono inconsapevoli ad assolvere all’ingrata e assurda funzione di baluardi invalicabili e micidiali. E gli incidenti si ripetono con angosciosa allucinante monotonia sulla curva di Montebello Vicentino detta ormai β€œla tomba degli autisti”. Β»
Nel 1920, Igino Peruffo, sindaco di Montebello Vicentino dal 1920 al 1923, decise di modernizzare le infrastrutture del paese, inclusa la costruzione della circonvallazione. Questo progetto, sebbene nato con buone intenzioni, si rivelΓ² col tempo una trappola mortale. La cosiddetta “curva de Maieto”Β situata nei pressi dell’ex ristorante β€œAlla Stazione”, di Cesare Maggio, divenne famigerata per la sua pericolositΓ .
Arrigo Peruffo, figlio dell’ex sindaco, in un’intervista rilasciatami nel 2014, ricordΓ² come suo padre avesse avuto grandi speranze per la circonvallazione. β€œMio padre voleva migliorare la viabilitΓ  e ridurre il traffico nel centro del paese,” disse Arrigo β€œnon poteva immaginare che quella curva sarebbe diventata una delle piΓΉ pericolose della regione.”
Gli incidenti su quella curva rovinosa sono stati così frequenti da diventare un triste rito quotidiano per i soccorritori locali.
Le immagini dei disastri stradali erano quasi sempre le stesse: auto accartocciate, camion ribaltati, carichi sparsi sull’asfalto. E sempre, a ogni incidente, il solito rituale: intervento di ambulanze, carri attrezzi, polizia e carabinieri. Ma la vera tragedia era l’inevitabilitΓ  di questi eventi.
Molti fattori contribuirono a rendere quel tratto di strada a gomito così pericoloso. La segnaletica inadeguata, la scarsa visibilità nelle giornate di pioggia e la manutenzione insufficiente della strada erano solo alcune delle cause. Ma forse il problema più grande era la conformazione stessa della curva: stretta e con un angolo tale da sorprendere anche gli autisti più cauti.
Nel corso degli anni, vari tentativi sono stati fatti per migliorare la sicurezza della curva. Furono installati paracarri e segnali di avvertimento, ma nulla sembrava sufficiente. Ogni volta che un incidente accadeva, i paracarri venivano sostituiti, solo per essere nuovamente distrutti poco dopo. Le autoritΓ  locali erano impotenti di fronte a quella che sembrava una maledizione.
Solo a partire dagli anni β€˜80, dopo altri tragici incidenti, le autoritΓ  regionali decisero di intervenire in modo piΓΉ deciso. Venne ridisegnata la curva, allargata la strada e migliorata la segnaletica. Sebbene questi interventi avessero ridotto il numero di incidenti, la reputazione della β€œcurva mortale” rimase.
Oggi, la “curva di Maieto”Β Γ¨ ancora lΓ¬, testimone silenziosa di decenni di tragedie. La strada Γ¨ piΓΉ sicura, ma il ricordo di tutte le vite perse Γ¨ ancora vivo nella memoria della comunitΓ .
La storia della curva di Montebello Vicentino è un monito su come le buone intenzioni possano portare a conseguenze inaspettate e tragiche. È anche un esempio di come la determinazione di una comunità possa portare a cambiamenti significativi. Mentre guardiamo al futuro, è essenziale ricordare le lezioni del passato e continuare a lavorare per strade più sicure per tutti.

Umberto Ravagnani

FONTI: Intervista ad Arrigo Peruffo nel 2014 e Corriere della Sera del 7 ottobre 1967.
FOTO: La famigerata “curva de Maieto” in una cartolina postale degli anni 40 del Novecento (collezione privata Umberto Ravagnani).

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IL VIOLINO E IL DESTINO

[399] IL VIOLINO E IL DESTINO
Walter Starkie e la magia degli zingari

Durante la prima Guerra Mondiale, a Montebello Vicentino, c’era un campo di prigioniaΒ situato nei pressi della Chiesetta di Sant’Egidio, a ridosso del torrente GuΓ . Era gestito dall’esercito inglese e veniva utilizzato principalmente per far svolgere lavori di ogni tipo ai prigionieri. Walter Starkie, noto studioso, scrittore e musicista irlandese, trovΓ² una connessione profonda e duratura con un gruppo di zingari ungheresi proprio in questo campo di detenzione.
Affetto da asma cronica, Starkie fu inviato nel clima piΓΉ mite dell’Italia, dove si unΓ¬ all’YMCA1 per fornire intrattenimento alle truppe britanniche. Nel 1918, durante il suo girovagare nel Veneto, approdΓ² al campo di prigionia di Montebello, dove incontrΓ² cinque prigionieri di guerra ungheresi, zingari di nascita, e la sua vita cambiΓ² per sempre. Questa Γ¨ la vera storia di quell’episodio sconvolgente.
Montebello Vicentino era una cittadina che Walter Starkie avrebbe conosciuto intimamente. Un giorno, dopo un recital di violino in una baracca dell’YMCA, notΓ² cinque uomini che indugiavano vicino alla porta. Questi uomini erano prigionieri austriaci impiegati in lavori pesanti dalle autoritΓ  britanniche. Starkie riconobbe subito i tratti distintivi degli zingari nei loro occhi penetranti e nella pelle scura come il mogano.
Uno di loro, facendosi portavoce del gruppo, chiese di esaminare il violino di Starkie. Lo prese con una reverenza quasi religiosa, esaminandolo come un tesoro inestimabile. I suoi compagni si affollarono attorno a lui, parlando animatamente in una lingua che Starkie immaginava fosse magiaro. Nei minuti successivi, studiarono il violino con attenzione maniacale, pizzicando le corde e manipolando l’archetto con gesti precisi. Il portavoce del gruppo spiegΓ² a Starkie che loro erano musicisti Rom arruolati nell’esercito austriaco. Chiesero a Starkie di intercedere presso l’ufficiale britannico per ottenere della legna da vecchie casse da imballaggio. La ragione era semplice: volevano costruire dei violini per poter suonare. La musica, per loro, non era solo un passatempo, ma una necessitΓ  vitale. Per gli zingari il suonare il violino rappresentava la danza della vita. Senza musica, un prigioniero zingaro ungherese avrebbe rischiato di morire di malinconia. Starkie, toccato dalla loro richiesta, si recΓ² immediatamente al deposito piΓΉ vicino, a Tavernelle, raccolse tutto il necessario: casse vuote, fili, resina e consegnΓ² loro il tutto.
Circa dieci giorni dopo, Starkie tornΓ² a Montebello e rimase stupefatto nel vedere che i cinque zingari avevano trasformato le casse da imballaggio in violini. La loro musica, selvaggia e diabolica, sembrava permeare l’aria stessa. I ritmi frenetici infettavano persino gli impassibili soldati britannici, che si ritrovavano a danzare come dervisci.2 Il colonnello del campo dovette intervenire per limitare le esibizioni dei violinisti zingari, timoroso che la disciplina potesse venir meno. I violini, costruiti in modo rudimentale, avevano un potere ipnotico. Starkie, profondamente affascinato, si ritrovava a fissarli, quasi in trance. Uno dei violinisti, di nome Farkas, lo invitΓ² a visitare la Transilvania, la terra natale dei violini. Farkas gli raccontΓ² una storia miracolosa sull’origine del violino, legata al diavolo e a una fanciulla della Transilvania.
« Una giovane e bella fanciulla della Transilvania, evitata per essere ritenuta stregata, sospirava incessantemente per un contadino che non la notava. Una zingara le offrΓ¬ uno strumento magico, ma a un costo terribile: β€œDevi darmi tuo padre, tua madre e i tuoi quattro fratelli.” La ragazza, stregata e disperata, accettΓ² senza esitazione. La zingara, che in realtΓ  era il diavolo, creΓ² il violino dal corpo del padre, l’arco dai capelli della madre e le corde dai quattro fratelli. β€œSuona questo violino nell’orecchio del giovane,” disse, β€œe lui ti seguirΓ  ovunque.” La giovane obbedΓ¬, e il contadino, incantato, la seguΓ¬. Felici, stavano tornando a casa quando il diavolo apparve reclamando il suo tributo: β€œVenite con me all’inferno.” E cosΓ¬ fu. Il violino rimase nella foresta finchΓ© un giorno uno zingaro lo trovΓ². Da allora, suona in tutto il mondo, facendo impazzire chiunque lo ascolti e custodendo il segreto dello strumento maledetto. Β»
Questa storia, intrisa di mistero e magia, affascinΓ² Starkie, che sentΓ¬ una relazione sempre piΓΉ forte con il mondo degli zingari. Farkas insegnΓ² a Starkie molte melodie magiare, e presto i due svilupparono un rapporto profondo. Un giorno, Farkas chiese a Starkie di diventare suo fratello di sangue. Dopo una cerimonia solenne, i due condivisero il loro sangue, sancendo un legame che avrebbe segnato la vita di Starkie per sempre. Farkas gli diede una moneta d’argento e Starkie avrebbe dovuto regalare a lui, entro 10 anni, una moneta dello stesso metallo per completare la cerimonia.
Negli anni seguenti, Starkie continuΓ² a sentire la presenza di Farkas. Anche durante le sue lezioni universitarie, le diaboliche melodie di Farkas invadevano la sua mente, risvegliando in lui il desiderio di tornare alle pianure ungheresi.
Nel marzo del 1929, Starkie ebbe un sogno telepatico in cui vide Farkas che lo chiamava disperatamente. SentΓ¬ il bisogno di mantenere la promessa fatta dieci anni prima. Decise quindi di partire per l’Ungheria e la Transilvania, alla ricerca del suo fratello di sangue. Durante il viaggio, Starkie contattΓ² molti violinisti zingari, ma non trovΓ² mai Farkas. ScoprΓ¬ poi da un violinista zingaro di nome Rostas che Farkas era morto di febbre proprio la notte del 19 marzo 1929, la stessa notte del suo sogno. Rostas divenne un caro amico di Starkie, e insieme vagarono per la campagna, condividendo storie e musiche. Starkie comprese che la connessione tra lui e Farkas era piΓΉ profonda di quanto avesse mai immaginato, un legame che trascendeva il tempo e lo spazio.
Walter Starkie raccontΓ² la sua avventura nel libro β€œRaggle-Taggle”3, pubblicato nel 1933 e, in forma piΓΉ approfondita, nella sua autobiografia β€œScholars and Gypsies”, pubblicata nel 1963. La sua storia con i cinque zingari ungheresi Γ¨ un racconto di magia, musica e destino. È la testimonianza di come la musica possa unire mondi diversi e creare legami indissolubili.
La vita di Starkie fu per sempre cambiata da quell’incontro a Montebello, un incontro che gli fece scoprire la potenza della musica e la profonditΓ  dei legami umani. La sua storia continua a ispirare, ricordandoci che la magia puΓ² trovarsi nei luoghi piΓΉ inaspettati e che la musica ha il potere di trasformare le nostre vite.

Umberto Ravagnani

FONTE: Libera traduzione di Umberto Ravagnani dall’autobiografia di Walter Starkie “Scholars and Gypsies“, London, 1963. Un grazie all’amico Luca Balsemin per avermi dato informazioni sul reperimento del libro di Walter Starkie.
NOTE: 1) Y.M.C.A = Young Men’s Christian Association. È un’associazione cristiana per giovani fondata da George Williams nel lontano 1844. Era nata per tenere i giovani lontano dalla cattiva strada (alcool, droghe, locali malfamati, prostitute. gioco d’azzardo illegale).
2) La danza frenetica dei dervisci ha le sue origini in Turchia nel XIII secolo.
3) Raggle-Taggle Γ¨ una ballata tradizionale irlandese e il titolo di uno dei libri di Walter Starkie.
FOTO: Uno dei cartelloni che Walter Starkie usava nelle sue esibizioni.

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MEMORIE DI ZONDERWATER

[398] MEMORIE DI ZONDERWATER
Un racconto di prigionia e speranza nella Seconda Guerra Mondiale

Oggi vi raccontiamo una storia poco conosciuta della Seconda Guerra Mondiale, che si svolge in un campo di prigionia molto lontano dall’Italia, a Zonderwater, in Sudafrica. Questa vicenda ci viene narrata dalla nostra concittadina Elisa Longarato, che negli ultimi anni ha dedicato tempo e passione a raccogliere testimonianze e notizie per ricostruire la prigionia di suo padre Vittorio in quel luogo.
Elisa ha partecipato, il 21 marzo 2024, a un evento organizzato dalla ‘The University of Sidney‘ e dalla ‘New York University‘ che si Γ¨ tenuto al ‘John D. Calandra Italian American Institute‘ di New York, collegandosi in remoto da casa sua. In quell’occasione, ha raccontato con emozione e in inglese la storia della prigionia di suo padre Vittorio in Sudafrica durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha descritto le difficili condizioni di vita, la lontananza dalla patria e dagli affetti e come suo padre e i suoi compagni riuscirono a trovare forza e speranza in una situazione cosΓ¬ disperata.
Circa un mese dopo, Elisa Γ¨ stata invitata in persona a un altro evento a New York che si Γ¨ svolto in due giorni. Il 23 aprile 2024 presso il ‘Center for Italian Modern Artβ€˜ (CIMA ) e il 24 aprile presso la ‘NYU Casa Italiana Zerilli-MarimΓ²‘. Il primo giorno, l’evento era intitolato β€œPreservare i ricordi della prigionia di guerra e la loro ereditΓ ” e aveva l’obiettivo di mantenere viva la memoria di queste esperienze dolorose ma significative. Durante questo incontro, Elisa ha riproposto, insieme ad altri testimoni collegati da vari Paesi del mondo, la storia di suo padre Vittorio, condividendo aneddoti e dettagli che hanno reso la narrazione ancora piΓΉ intensa e coinvolgente.
Il secondo giorno il tema era ‘Suoni di prigionia: Musica dei prigionieri italiani durante la seconda guerra mondiale‘. Dopo la presentazione e il concerto del Maestro Francesco Lotoro su musiche composte in prigionia, si Γ¨ tenuta una lezione con gli studenti della New York University. I ragazzi hanno osservato con attenzione i libri, le lettere, gli oggetti che Vittorio si era portato dalla prigionia; in particolare il banjo-mandolino costruito con mezzi di fortuna lavorando di notte. Hanno espresso le loro opinioni e fatto domande alle quali Elisa ha risposto raccontando particolari della vita in guerra e prigionia di suo padre. Elisa Γ¨ stata molto colpita dall’interesse sulla storia dei prigionieri italiani dei ragazzi β€œamericani” provenienti da vari paesi del mondo.
La testimonianza di Elisa Γ¨ fondamentale per mantenere vivi i ricordi delle difficoltΓ  affrontate dai prigionieri di guerra e per comprendere meglio la nostra storia collettiva. L’impegno di Elisa nel preservare questi ricordi rappresenta un omaggio alla resilienza e al coraggio di suo padre e di tutti coloro che hanno condiviso la sua sorte. Grazie a persone come Elisa, queste storie non vengono dimenticate e continuano a ispirare le generazioni future, ricordando a tutti noi il valore della memoria e dell’umanitΓ  anche nei momenti piΓΉ bui.
Ecco il suo racconto, il 21 marzo, da casa sua in collegamento da remoto e poi, il 23 aprile, da New York:

IL RACCONTO EMOZIONANTE DI ELISA TRA MONTEBELLO E NEW YORK


LEGGI...

Β« Sono Elisa Longarato e ringrazio Elena Bellina (New York University) e Giorgia AlΓΉ (Sidney University) per l’invito. È un onore per me partecipare a questo incontro. Mi scuso in anticipo per il mio pessimo inglese.
Vi racconterΓ² di mio padre, Vittorio Longarato, che combattΓ© in Nord Africa nell’8Β° Rgt. Bersaglieri, durante la Seconda Guerra Mondiale, e della sua prigionia in Egitto e poi in Sud Africa fino al 1947.
Vorrei riassumere il percorso che mi ha portato a dedicarmi alla β€œmissione” di rintracciare la prigionia di mio padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Fino a circa quindici anni fa non avevo mai sentito il nome β€œZonderwater”. Mio padre ha parlato poco della guerra e pochissimo della sua prigionia, solo negli ultimi anni della sua vita ha raccontato qualcosa ai miei fratelli e pezzo dopo pezzo ora stiamo ricostruendo la sua storia. Sapevo solo che era stato ferito in una battaglia nel deserto tra Libia ed Egitto nel 1941, e che lo credevano morto. Fu salvato da un medico tedesco, anche lui prigioniero, che lo tirΓ² fuori dal mucchio dei cadaveri dei soldati. Dopo due mesi trascorsi al General Hospital di Geneifa in Egitto, e un altro mese nelle β€œgabbie” egiziane, Γ¨ stato trasferito in Sud Africa, prima vicino a Durban e poi vicino a Pretoria. Quando tornΓ² a casa, nel febbraio del 1947, aveva con sΓ© una valigia di latta (fatta con barattoli di marmellata) piena di libri provenienti dalla biblioteca del campo allora quasi abbandonato, una valigia di cartone con alcuni oggetti personali, alcuni vestiti, una coperta e il suo banjo-mandolino e i quaderni con la musica che scrisse a Zonderwater.
RealizzΓ² il banjo-mandolino con il legno di una panca del campo, con la pelle di un coniglio, la ghiera di una bomba, il dorso di un pettine, mezzi bottoni di madreperla e fili metallici per le corde, presi dai cavi dei freni delle motociclette.
Circa quindici anni fa ho iniziato a leggere e a riordinare centinaia di lettere che scrisse durante i suoi 10 anni lontano da casa (1937-1947 militare-guerra-prigionia). Nel 2010 ho letto il libro β€œI Diavoli di Zonderwater” di Carlo Annese, (scrittore e giornalista sportivo che era stato in Sud Africa per i Mondiali di calcio).
Mi resi conto che mio padre era stato a Zonderwater!
Poi per caso ho scoperto che in un libro scritto da un Generale dell’8Β° Rgt. Bersaglieri viene menzionata l’azione di mio padre nella battaglia denominata β€œOperazione Brevity” avvenuta il 15 maggio 1941 a Sollum-Capuzzo-Halfaya, dove mio padre rimase gravemente ferito. Ho saputo che il campo di prigionia in Egitto era il Campo 306 a Geneifa e che i campi in Sud Africa erano a Pietermaritzburg e Zonderwater.
Ho fatto qualche ricerca online e non c’era niente su Zonderwater. Poi ho trovato un gruppo Facebook appena aperto su Zonderwater a cui mi sono iscritta e nel novembre 2011 sono andata con altri membri del gruppo in Sud Africa. Abbiamo incontrato il presidente dell’Associazione Zonderwater Block ex POW, Sig. Emilio Coccia. Abbiamo visitato l’area in cui si trovavano i due campi e abbiamo partecipato alla cerimonia la prima domenica di novembre al cimitero di Zonderwater (era il 70Β° anniversario dell’apertura del campo).
Poi, ho deciso di creare www.zonderwater.com, un sito web collegato alla nostra pagina Facebook, dove avrei potuto creare un database con informazioni e immagini sulla prigionia di guerra italiana e sui soldati detenuti in Sud Africa, dove i discendenti di altri prigionieri avrebbero potuto pubblicare informazioni e foto dei loro parenti. Queste informazioni sono soggette a revisione e approvazione. Mio nipote mi ha aiutato a creare il sito web.
Sono rimasta in contatto con Emilio Coccia. Finora, attraverso il sito e la pagina Facebook, ho ricevuto migliaia e migliaia di email con richieste di informazioni da parte di parenti di ex prigionieri di guerra. Di solito li consiglio su come svolgere le loro ricerche e li metto in contatto con Emilio Coccia per avere informazioni sui loro parenti registrati nell’archivio Zonderwater dell’Associazione.
Sono tornata in Sud Africa nel novembre 2017 con un altro gruppo. Durante la cerimonia ho avuto l’onore di deporre una corona insieme a Paolo Ricci, allora l’ultimo prigioniero di guerra vivente di Zonderwater in Sud Africa (morto nel 2022). Era il 70Β° anniversario della chiusura del campo (1947-2017). Ad oggi il gruppo Facebook conta circa 2.000 membri.
Ogni anno organizziamo un raduno (escluso il periodo pandemico). L’anno scorso abbiamo organizzato il nostro incontro annuale a Roma ed Γ¨ stata la prima volta senza prigionieri di guerra. Sfortunatamente, sono tutti morti. Emilio Coccia era presente come sempre.
Zonderwater Γ¨ ricordata come β€œLa cittΓ  del prigioniero”. Molti soldati italiani catturati dagli inglesi nell’Africa settentrionale e orientale furono imbarcati su navi dirette a Durban in Sud Africa. Una volta sbarcati venivano caricati sui treni con destinazione finale il campo di prigionia di Zonderwater.
Prima di raggiungere la loro destinazione, i prigionieri venivano fermati nel campo di transito di Pietermaritzburg, situato a 75 chilometri da Durban. Il campo ha funzionato come pronto soccorso, medico e struttura di controllo, lavaggio, disinfezione e ristoro. Quindi i prigionieri di guerra venivano rimessi sul treno diretto a Zonderwater.
Tuttavia, molti prigionieri rimasero a Pietermaritzburg per tutto il periodo di cattivitΓ . In alcuni periodi il campo ospitava fino a 8.000 uomini.
Zonderwater vicino a Cullinan (43 Km da Pretoria), il piΓΉ grande campo di prigionia di guerra costruito dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, ospitΓ² piΓΉ di 100.000 soldati italiani dall’aprile 1941 al gennaio 1947.
Nonostante la guerra fosse finita nel 1945, il campo venne chiuso solo nel 1947 a causa dei ritardi nel rimpatrio dei prigionieri. Tuttavia, molti ex prigionieri decisero di rimanere in Sud Africa.
L’avventura umana di Zonderwater parte dalla tendopoli del 1941, trasformata nel 1943 (con il colonnello Prinsloo) in quell’enorme e permanente centro abitato formato da mattoni rossi e costruzioni in legno destinato poi a diventare quasi una leggenda: 14 blocchi, ciascuno composto da 4 campi (56 in totale). Ogni campo ospitava 2.000 uomini, quindi, un blocco poteva ospitare 8.000 prigionieri. Nel complesso, Zonderwater aveva una capacitΓ  totale di 112.000 uomini.
Il 2 novembre 1947, un gruppo di ex prigionieri di guerra in Sud Africa tornΓ² sul posto per mantenere aperto il cimitero e organizzΓ² cerimonie commemorative. Questa struttura basata sul servizio volontario Γ¨ stata formalizzata nel 1965 con la fondazione dell’Associazione Zonderwater Block ex POW. L’attuale presidente dell’Associazione, Emilio Coccia, Γ¨ in carica dal 2000. Zonderwater Γ¨ stata visitata per la prima volta nel 2002 dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi.
Grazie.
Elisa Longarato Β»

FOTO: 1) Elisa Longarato racconta la storia di suo padre Vittorio dal “Center for Italian Modern Art“, a New York il 23 aprile 2024.
2) La valigetta con alcuni oggetti personali di Vittorio Longarato. Elisa, in occasione del suo intervento a New York ha esibito il banjo-mandolino costruito da suo padre durante la prigionia (cortesia Elisa Longarato).

Umberto Ravagnani

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GEMMA CENZATTI

[397] GEMMA CENZATTI
Una paladina della paritΓ  di genere

La storia di Gemma Cenzatti, nata il 1 luglio 1872 a Pojana Maggiore, in provincia di Vicenza, Γ¨ un viaggio straordinario di resilienza e determinazione. Cresciuta come ultima di undici figli in una famiglia di agricoltori, Gemma affrontΓ² le avversitΓ  della sua epoca con una forza d’animo che la portΓ² a superare barriere sociali e culturali. Questo racconto vuole celebrare la sua vita, intrecciata con le vicende storiche dell’Italia tra il XIX e il XX secolo, e mostrare come il suo impegno abbia lasciato un’impronta indelebile nella societΓ  italiana.
Il padre di Gemma, Luigi Cenzatti, era originario di Montebello Vicentino. Nel 1849, all’etΓ  di 22 anni, Luigi sposΓ² Luigia Ghirardello, nativa di Pojana Maggiore, e si trasferΓ¬ lΓ¬ con la sua nuova famiglia. Il cognome Cenzatti era ben noto a Montebello, presente almeno dal XVI secolo. Le vicende dei Cenzatti si intrecciano con la storia locale: figure come Domenico Cenzatti, che nel XVIII secolo era considerato un benestante, testimoniano la rilevanza della famiglia.⁕
Luigi Cenzatti era un β€œaffittanziere”, un ruolo cruciale nell’organizzazione agricola dell’epoca. L’affittanziere subaffittava terre e case ai villici, fungendo da intermediario tra i latifondisti e i contadini. Questa posizione, seppur importante, era instabile e soggetta alle difficoltΓ  economiche. Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono particolarmente duri: epidemie, tasse inique e crisi agrarie spinsero molte famiglie, inclusi i Cenzatti, a migrare in cerca di migliori condizioni.
Nel 1875, la famiglia Cenzatti si trasferΓ¬ a Badia Polesine, dove Gemma frequentΓ² probabilmente le scuole elementari. L’istruzione elementare dell’epoca era regolata dalla β€œlegge Casati” del 1859, che stabiliva un percorso di quattro anni (poi esteso a cinque nel 1888). Dopo le elementari, alle ragazze era offerta la possibilitΓ  di frequentare le Scuole Normali per diventare maestre, una professione ritenuta idonea per le donne, ma l’accesso alla scuola secondaria era limitato e raramente incoraggiato. Nonostante le sfide, Gemma era determinata a continuare gli studi. Le sue aspirazioni furono sostenute dallo zio Alessandro, un medico, e dal cugino Camillo, magistrato. Questi esempi familiari di successo contribuirono a rafforzare la sua volontΓ  di superare le barriere sociali e culturali del tempo.
Nel 1888, Gemma, sedicenne, chiese di essere ammessa al ginnasio β€œGiovan Battista Ferrari” di Este. Nonostante avesse superato l’esame di ammissione, la sua richiesta fu inizialmente respinta. La β€œquestione delle ragazze” occupΓ² le cronache locali per mesi, riflettendo il clima di resistenza all’educazione femminile. Tuttavia, il Ministero intervenne e, il 19 novembre, Gemma fu finalmente ammessa insieme ad altre tre compagne. La sua determinazione fu premiata: si diplomΓ² brillantemente, ottenendo una promozione senza esami per merito.
Nel 1891, Gemma si iscrisse al Regio Liceo classico β€œTito Livio” di Padova. La sua famiglia si trasferΓ¬ con lei, stabilendosi a Padova. Nel 1894, Gemma conseguΓ¬ il diploma con una β€œlicenza d’onore” e iniziΓ² a frequentare l’UniversitΓ  di Padova, dove studiΓ² Filosofia e Lettere. In un’epoca in cui la presenza femminile nelle universitΓ  era ancora una novitΓ , Gemma si distinse per il suo impegno e la sua eccellenza accademica. A Padova, seguΓ¬ le lezioni di illustri professori come Roberto ArdigΓ², Ferdinando Gnesotto e Giuseppe De Leva. Grazie ai suoi ottimi risultati, Gemma ottenne l’esonero dalle tasse scolastiche. Nel 1898, si laureΓ² con una tesi su β€œAlfonso de Lamartine e l’Italia”, che fu successivamente pubblicata. Nel 1899, conseguΓ¬ anche l’abilitazione all’insegnamento di Lettere, Storia e Geografia.
Nel 1901, Milano era una cittΓ  in pieno fermento industriale, con oltre 500.000 residenti. Nonostante i progressi, l’analfabetismo e lo sfruttamento del lavoro minorile e femminile erano ancora diffusi. Milano era anche un centro di attivitΓ  benefiche e sociali, con istituzioni come la SocietΓ  Umanitaria, fondata nel 1893, e l’Unione Femminile, fondata nel 1899.
Gemma si trasferΓ¬ a Milano con la madre e i fratelli. Si unΓ¬ subito alle attivitΓ  assistenziali della SocietΓ  Umanitaria, insegnando Storia del costume alla Scuola professionale femminile. Qui collaborΓ² con figure come Rosa Genoni, una pioniera della moda italiana e sostenitrice dell’emancipazione femminile. L’influenza di Genoni e il contesto progressista di Milano rafforzarono l’impegno di Gemma per i diritti delle donne e il miglioramento delle condizioni di vita dei meno abbienti.
Nel 1906, Gemma iniziΓ² a insegnare Italiano alla Scuola tecnica comunale pareggiata di via S.Spirito. La sua passione per l’istruzione la portΓ² nel 1914 alla Scuola superiore di studi femminili β€œAlessandro Manzoni”, dove divenne una figura chiave nella riforma del curriculum scolastico. Sotto la sua guida, l’istituto divenne un modello di istruzione superiore femminile.
Gemma si trovΓ² presto a confrontarsi con il regime fascista, che nel 1923 introdusse la β€œRiforma Gentile”, limitando le opportunitΓ  educative per le donne. Nonostante le difficoltΓ , Gemma continuΓ² a promuovere l’importanza dell’istruzione femminile e a sostenere le sue allieve. La sua autoritΓ  fu fondamentale per mantenere alto il prestigio dell’istituto durante un periodo di cambiamenti politici e sociali.
Durante il regime fascista, Gemma rifiutΓ² di iscriversi al partito, mantenendo le sue convinzioni politiche. Questo coraggio le costΓ² caro: nel 1935, fu destituita dal suo incarico per β€œincapacitΓ  professionale”, una formula spesso usata contro chi non si conformava alle aspettative del governo. La destituzione portΓ² a gravi difficoltΓ  economiche, privandola dello stipendio, della pensione e del domicilio situato negli stessi locali della scuola.
Nonostante l’umiliazione e le difficoltΓ , Gemma non rinnegΓ² mai i suoi ideali. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, cercΓ² di ottenere ragione e un risarcimento per le ingiustizie subite, ma solo nel 1947 le fu riconosciuto un risarcimento economico. Le sue condizioni di salute, giΓ  compromesse, peggiorarono e morΓ¬ il 26 dicembre 1948.
La storia di Gemma Cenzatti Γ¨ una testimonianza potente di come la determinazione e il coraggio possano superare le avversitΓ . La sua vita riflette le lotte delle donne italiane per l’istruzione e l’emancipazione in un’epoca di profondi cambiamenti sociali e politici. Gemma ha lasciato un’ereditΓ  di impegno e di passione per la giustizia sociale, ispirando le generazioni future.
Il suo necrologio riportΓ² il cordoglio di molte persone che avevano condiviso con lei momenti significativi della vita. Tra loro, figure di spicco come Andreina Gavazzi, figlia di Anna Kuliscioff e Andrea Costa, e Virgilio Brocchi, amico e collega. Nonostante la mancanza di commemorazioni ufficiali, il ricordo di Gemma Cenzatti vive nei cuori di coloro che hanno apprezzato il suo contributo all’educazione e al progresso sociale.
Oggi, la sua sepoltura al Cimitero Maggiore di Milano Γ¨ un semplice loculo, ma la sua ereditΓ  continua a brillare come un faro di speranza e determinazione. La vita di Gemma Cenzatti ci ricorda che, anche di fronte alle sfide piΓΉ grandi, la forza dell’animo umano puΓ² portare a risultati straordinari e duraturi.

FONTE: compendio da una ricerca storica di Valeria Maggiolo e Laura Silva, pubblicata su TERRA D’ESTE – Rivista di storia e cultura, Anno XXXIV n. 67.
NOTE: ⁕ Vedi anche l’articolo n. [94] LA FAMIGLIA CENZATTIΒ di Ottorino Gianesato.
FOTO: Cartolina postale con la Scuola Superiore Femminile A. Manzoni di Milano all’inizio del Novecento, dove per oltre vent’anni, Gemma Cenzatti fu una guida insostituibile. Conosciuto come palazzo Dugnani oggi ospita il Museo del Cinema, i Laboratori delle Serre ed alcune mostre annuali.

Umberto Ravagnani

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NASCE IL MERCATO A MONTEBELLO

[395] LA NASCITA DEL MERCATO DI MONTEBELLO
Una cronaca storica

Il racconto che vi presentiamo oggi analizza la nascita del mercato di Montebello, avvenuta nel XVII secolo, come un evento cruciale nella storia economica e sociale del paese. Attraverso una cronaca dettagliata e coinvolgente, esploreremo le dinamiche politiche e le strategie economiche che portarono alla creazione del mercato settimanale, evidenziando l’impatto significativo che ebbe sulla comunitΓ  locale.
Nel dicembre del 1650, nella solenne sala del Comune di Montebello, si riunirono i membri del Consiglio dei 60 per discutere una questione di vitale importanza per il futuro economico del paese. Sotto l’austera presenza del Cancelliere Antonio Di Giusti, i consiglieri Francesco Zampieroni, Bortolo Di Giusti, Giacomo Di Fin, Iseppo Tura e Nicolo’ Giacomon si impegnarono in lunghe e ponderate discussioni. La decisione era cruciale: l’istituzione di un mercato settimanale che potesse garantire un afflusso costante di merci e favorire lo sviluppo economico della comunitΓ .
Dopo molte riflessioni, il Consiglio decise di incaricare il Reverendo Gio.Maria Zanni, rinomato Dottore di Sacra Teologia e Filosofia, nonchΓ© predicatore nella locale Chiesa Parrocchiale, di recarsi a Venezia. La missione del Reverendo Zanni era chiara: ottenere dal Serenissimo Principe, il Doge di Venezia, l’autorizzazione per istituire il mercato settimanale. Questo incarico, ricco di speranze e aspettative, segnΓ² l’inizio di un viaggio che avrebbe cambiato per sempre il destino di Montebello.
Il Reverendo Zanni partΓ¬ per Venezia con un cuore pieno di determinazione e speranza. La Serenissima Repubblica di Venezia rappresentava il centro politico e commerciale piΓΉ importante dell’epoca e ottenere il favore del Doge era essenziale per il successo della missione. Il 22 settembre 1660, dopo lunghi negoziati e suppliche, Domenico II Contarini, Doge della Serenissima Repubblica di Venezia, concesse l’autorizzazione tanto attesa. Questa vittoria non solo rifletteva l’abilitΓ  diplomatica del Reverendo Zanni, ma anche la fiducia e il sostegno che la Repubblica di Venezia aveva verso Montebello.
Con l’autorizzazione del Doge, il mercato di Montebello fu ufficialmente inaugurato1. Le prime settimane videro una vivace attivitΓ  commerciale, con mercanti e compratori che affluivano da tutta la regione. Il mercato, destinato alla vendita di granaglie, spezie e altri beni di consumo, divenne rapidamente un centro nevralgico per l’economia locale.
Tuttavia, con l’espansione del mercato sorsero nuove sfide. La piazza principale di Montebello si rivelΓ² presto inadeguata per ospitare la crescente attivitΓ  commerciale. Le bancarelle invadevano le strade, creando disagi e ostacolando il passaggio pubblico. La situazione richiese una soluzione urgente.
Nel settembre del 1681, durante una riunione della Vicinia2, si decise la demolizione delle casette dell’Ospitale di S. Giovanni che occupavano metΓ  della piazza. Questa decisione, frutto della cooperazione tra il governatore dell’Ospitale e i rappresentanti del Vicariato di Montebello, permise di ampliare la piazza e di creare uno spazio adeguato per le attivitΓ  commerciali.
Tuttavia, una catapecchia adiacente all’abitazione del Vicario rimaneva ostinatamente in piedi, compromettendo la bellezza e la funzionalitΓ  della nuova piazza. Solo nel giugno del 1683, la Vicinia comprese la necessitΓ  di una piazza piΓΉ ampia e decise finalmente di demolire la vecchia costruzione3. La demolizione avvenne a dicembre dello stesso anno, dopo il consenso dei deputati di Vicenza.Β Questo atto segnΓ² un punto di svolta, permettendo al mercato di prosperare come mai prima.
Con una piazza adeguata e un mercato settimanale fiorente, Montebello vide una crescita significativa della produzione agricola e del commercio. Il mercato divenne un punto di incontro non solo per le transazioni economiche, ma anche per gli scambi culturali e sociali. Mercanti da varie regioni portarono con sΓ© nuove idee, culture e tecnologie, arricchendo la comunitΓ  locale.
La prosperità del mercato favorì anche la partecipazione della comunità di Montebello agli sforzi bellici della Repubblica Veneta durante la guerra della Morea4 del 1684. In segno di gratitudine verso la Repubblica, Montebello vendette metà dei suoi beni, incluso il Castello di Montebello, per sostenere lo sforzo bellico. Questo atto di sacrificio collettivo dimostrò la profondità del legame tra Montebello e la Repubblica Veneta, nonché la volontà della comunità di contribuire al bene comune.
La nascita del mercato di Montebello rappresenta un esempio straordinario di come la cooperazione e la determinazione possano trasformare una comunitΓ . La visione lungimirante dei leader locali, unita al sacrificio e all’impegno collettivo, permise a Montebello di superare le sfide e di costruire un futuro prospero.
Questa storia di successo non solo ispirΓ² altre comunitΓ , ma divenne anche un modello di riferimento per la gestione e lo sviluppo economico. Il mercato di Montebello, con la sua storia di crescita e trasformazione, dimostra che il progresso autentico si basa sulla collaborazione e sulla capacitΓ  di affrontare le difficoltΓ  insieme.
La storia del mercato di Montebello ci insegna che il benessere nasce dalla collaborazione, dalla visione e dal sacrificio. È una lezione preziosa che risuona ancora oggi, ricordandoci l’importanza di lavorare insieme per il bene comune. Montebello, con il suo mercato fiorente e la sua comunitΓ  unita, rimane un esempio vivente di come la determinazione e la cooperazione possano trasformare un piccolo paese in un centro di prosperitΓ  e speranza.

Umberto Ravagnani

FOTO: 1) Il mercato di Montebello in una foto recente (foto Franca Castagnaro).
DISEGNO: Ecco com’era la ‘piazza’ (oggi Piazza Italia) all’epoca della nascita del mercato a Montebello (libera ricostruzione da un disegno originale, datato 1683, che si trova presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza).
NOTE: 1) Nel 1559, un documento del notaio NicolΓ² RoncΓ  menziona giΓ  un vivace mercato domenicale a Montebello. Anche se non era ufficiale, questo mercato, attirava folle dai paesi vicini e fu creato dai commercianti locali per animare le domeniche e incentivare gli scambi.
2) La Vicinia, in quell’epoca, indicava un’assemblea di persone abitanti nello stesso luogo con interessi o beni comuni.
3) Vedi anche gli articoli [55] [57] e [59] LA STALLETTA DEL VICARIO NELLA PIAZZA DEL MERCATO DI MONTEBELLO.
4) La Guerra di Morea (attuale Peloponneso in Grecia), anche nota come sesta guerra turco-veneziana, fu la campagna militare della Repubblica di Venezia, svoltasi tra il 1684 e il 1699, contro l’impero Ottomano.
BIBLIOGRAFIA
: G.MaccΓ , Storia del territorio vicentino, 1814.
B.Munaretto, Memorie storiche di Montebello Vicentino, 1932.
O.Gianesato, Montebello nella quotidianitΓ  del ‘500, 2010.

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FRA LUIGI MARIA VERLATO

[394] FRA LUIGI MARIA (FRANCESCO) VERLATO
Figura esile ma insieme carattere robusto, frate dei Servi di Maria, sacerdote

Una vita di fede e servizio
Luigi Maria (Francesco) Verlato, un frate dei Servi di Maria e sacerdote, ha vissuto una vita dedicata alla fede e al servizio. Nato a Montebello Vicentino il 3 agosto 1925, in una famiglia di fornai con sette figli, ha mostrato fin da giovane una profonda vocazione religiosa. All’etΓ  di 17 anni, nel 1942, Γ¨ entrato nel seminario minore dell’Ordine a Follina. Dopo il noviziato a Isola Vicentina (1943-1944), ha preso il nome di fra Luigi e ha pronunciato i voti semplici il 24 agosto 1944, confermati con la professione solenne il 14 ottobre 1947 nella comunitΓ  di Udine. Fra Luigi ha completato gli studi di filosofia a Udine (1945-1948) e il corso di teologia alla facoltΓ  Marianum a Roma (1948-1952), dove Γ¨ stato ordinato sacerdote il 22 dicembre 1951. La sua vita religiosa Γ¨ stata segnata da un lungo impegno in vari conventi della Provincia Veneta e della Spagna. Ha vissuto e servito a Monte Berico (1952-1954; 1968-1976; 1997-2023), Arco (1976-1979), Mestre (1979-1997), e in Spagna a Valencia (1954-1955), Plasencia (1955-1956; 1959-1961; 1964-1968), Tuy (1956-1959), Villaluenga (1961-1963), e Yecla (1963-1964).
Nel corso della sua vita, fra Luigi ha svolto prevalentemente il ruolo di insegnante, cappellano di ospedale e di monasteri femminili. Negli ultimi venticinque anni della sua vita, Γ¨ stato un confessore instancabile nel santuario di Monte Berico, dove desiderava costantemente tornare per donare misericordia.

Una vocazione precisa e costante
Fra Luigi ha sempre attribuito la sua scelta di diventare religioso a una profonda devozione alla Madonna. In una relazione scritta in vista del noviziato il 28 giugno 1943, confessava di aver deciso di farsi religioso β€œverso i 14 anni: per santificarmi e diventare sacerdote”. Questa vocazione Γ¨ stata riconosciuta e supportata dai suoi maestri di formazione. Fra Filippo Mondin attestava che il giovane Verlato aveva dato segni evidenti di vera vocazione religiosa, descrivendolo come un giovane docile e pio. Il maestro Anselmo M. Zordan, alla fine del noviziato, dichiarava che fra Luigi si era sempre comportato bene, mostrando buona volontΓ , retta intenzione, e spirito di pietΓ  e sacrificio.
Alla vigilia della sua professione solenne, fra Luigi scriveva con consapevolezza e determinazione la sua rinuncia al mondo per dedicarsi all’Ordine dei Servi di Maria, promettendo di seguire Cristo per salvare tutti e di rispettare gli obblighi dello stato religioso. Un’affermazione non firmata documentava che il giovane fra Luigi, grazie alla sua pietΓ  e capacitΓ  nello studio, prometteva una buona riuscita nella vita religiosa.

Un uomo di studio e spiritualitΓ 
Fra Luigi Γ¨ stato anche un assiduo frequentatore della Biblioteca Berica di Monte Berico,⁕ come testimonia Francesca, la bibliotecaria. Dal 2007 agli inizi del 2023, ha effettuato ben 676 prestiti, dimostrando una grande curiositΓ  di conoscere, leggere, e studiare. Si interessava principalmente alla storia della Chiesa, delle religioni, in particolare asiatiche, e alla spiritualitΓ  dei Padri della Chiesa, con un occhio sempre attento alle discipline teologiche, specialmente della sezione dogmatica.
Molti lo ricordano come un frate che pensava molto e parlava poco, riflettendo profondamente sulla sua fede e vocazione. Un aspetto meno noto della sua vita era la sua passione per la Palestina. Nel 1981, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa in occasione del trentesimo anniversario del suo sacerdozio, proponeva che la Famiglia dei Servi di Maria avesse una casa in Terra Santa, un luogo dove poter partecipare da vicino ai fatti religiosi e umani della redenzione.

Un servizio instancabile
Fra Luigi ha servito in vari contesti, rispondendo alle necessitΓ  della sua comunitΓ  e dei fedeli. Dopo la sua ordinazione, Γ¨ stato inviato in Spagna, dove ha contribuito ad aprire nuovi conventi e a rafforzare la fondazione dell’Ordine. Tornato in Italia nel 1968, ha servito come cappellano delle monache di Arco e ha assistito i confratelli anziani e malati del convento maschile di Arco. Dal 1979 al 1997, Γ¨ stato cappellano della clinica Villa Salus delle Serve di Maria a Mestre.
Il suo impegno Γ¨ stato contrassegnato da due momenti significativi: l’aiuto a chi era in necessitΓ  e l’assistenza ai sofferenti, seguendo l’esempio di Maria. Anche a Monte Berico, dove Γ¨ tornato nel 1997 e ha vissuto fino alla sua morte, ha continuato a diffondere la devozione a Maria, diventando un confessore molto ricercato.

Un addio commovente
Fra Luigi ha concluso la sua esistenza terrena il 17 maggio 2023 nella sua cella della comunitΓ  Istituto Missioni, dove era stato accolto per cure adeguate dopo una caduta accidentale. Il giorno precedente, era stato dimesso dall’ospedale di Noventa Vicentina, dove era stato curato per una seria polmonite.
Il 19 maggio, nella basilica di Monte Berico, si Γ¨ tenuta la liturgia di commiato, presieduta dal priore provinciale fra Giuseppe M. Corradi, accompagnato da 22 concelebranti. Durante l’omelia, il presidente ha tracciato la vita del defunto, ringraziando il Signore per aver donato fra Luigi alla comunitΓ  e invocando altri a seguire il suo esempio di dedizione e fede.

EreditΓ  e ricordo
Fra Luigi Maria Francesco Verlato ha vissuto 97 anni, di cui 78 come frate e 73 come sacerdote. La sua vita è stata un esempio di dedizione, studio, e servizio. Ha seguito il cammino di Maria, dedicandosi agli altri e diffondendo la devozione alla Madonna. È sepolto nel cimitero del suo paese natale, Montebello Vicentino, accanto ai suoi cari, lasciando un ricordo indelebile nella comunità dei Servi di Maria e in tutti coloro che lo hanno conosciuto.
La sua ereditΓ  spirituale continua a vivere attraverso i suoi insegnamenti, il suo esempio di vita, e la sua profonda fede, ispirando future generazioni di religiosi e fedeli. Fra Luigi ha incarnato i valori dei Servi di Maria, mostrando come la devozione, il servizio, e la conoscenza possano essere strumenti potenti per una vita di santitΓ  e dedizione al prossimo.

MONTE BERICO: INTERVISTA DI P. STEFANO BORDIGNON A P. LUIGI MARIA VERLATO, PUBBLICATA IL 9 FEBBRAIO 2022


LEGGI...

 

P. Stefano: Ciao carissimi amici e amiche vi presento qui il nostro padre Luigi. Fra Luigi che da poco ha celebrato quanti anni di sacerdozio?

P. Luigi: dal 51.

P. Stefano: dal 51 al 2022 quindi 71, bene complimenti. E allora questa Γ¨ l’occasione un po’ per raccontarci alcune cose della sua storia; conoscere un po’ la vita che ha vissuto Luigi, ci vuoi raccontare qualcosa per esempio, ci puoi raccontare come è cominciata la tua vocazione?

P. Luigi: Quella volta che andai dalΒ parroco a dirgli che volevo fareΒ o il monaco o il frate o il prete, lui Γ¨ rimasto incantato e ha dettoΒ “non Γ¨ la stessa cosa!”, e mi ha lasciato in sospeso per mesi.

P. Stefano: Quanti anni avevi?

P. Luigi: 16, 17. Aspettando una risposta mi sono ammalato. E un giorno sono andato a stendermi nel campo vicino la fonte ho sperato di andare in cielo.
Dopo verso sera ha cominciato a fare freddo e sono tornato a casa mia mamma ha misurato la febbre e mi ha detto di stare a letto. Ha chiamato il medico ma non c’erano malattie. La mamma Γ¨ andata dal prete e ha detto bisogna decidere e lui mi ha accompagnato qui a Monte Berico. Io, in sacristia, ho visto il padre Alba che mi ha chiesto cosa vuoi?Β O prete o frate o monaco. E lui mi ha dettoΒ va e prepara mi ha dato una lista di cose da portare un vestito la biancheria, e cosΓ¬ mi ha dato appuntamento devi avere gli esami di maturitΓ  e allora ho cominciato a studiare.

P. Stefano: Che anno, che anno era piΓΉΒ o meno? tu sei nato nel?

P. Luigi: 25, 35, 42. Eravamo in piena guerra, uno sfacelo. Andavo portare il pane dopo averlo fatto, nel paeseΒ e la polizia mi seguiva in bicicletta, quindi sotto controllo anche il lavoro.
Una volta mi hanno accompagnato in caserma, un altra ancora però, a un certo momento è arrivato il permesso del provinciale e il mio fratello mi ha accompagnato in bicicletta a Monte Berico siamo arrivati verso sera, poi il giorno dopo sono partito per andare a Follina non sapevano che arrivavo. Comunque mi han dato il letto soltanto che il giorno dopo non avevo più trovato né i panni né il vestito nuovo e così sono rimasto semplice studente.  Dopo un paio di mesi abbiamo fatto gli esami di prima ginnasio, dopo un mese di seconda ginnasio e sono entrato in terza ginnasio. Di là sono passato a Isola Vicentina a fare il noviziato.

P. Stefano: Quanti eravate in quel tempo?

P. Luigi: una quindicina o 16.

P. Stefano: Cosa facevate quando eravate novizi?

P. Luigi: Da novizi ci faceva istruzione il padre maestro poi andavamo a coltivare l’orto qualche lettura della vita dei santi sΓ¬ ho detto lΓ¬ la vita dei santi ho avuto modo di leggere qualche libro di filosofia e allora mi hanno chiamato β€œIL FILOSOFO”. CosΓ¬ che con questo titolo sono arrivato giΓΉ a Roma. Non Γ¨ stata facile la mia vita a Roma. A metΓ  anno mi hanno ordinato sacerdote, non avevo ancora terminata teologia.

P. Stefano: E qual Γ¨ stata la tua prima esperienza da prete?

P. Luigi: La prima esperienza Γ¨ stataΒ qui a Monte Berico nel 52.Β Nei mesi per terminare laΒ scuola dicevo Messa da soloΒ in cappella a Roma, qui la mia esperienza di confessoreΒ e poi insegnante al collegio, non mi dava soddisfazioneΒ perchΓ© non avevo terminato gli studi di Roma e chiedevo sempre di andare a terminali.
E il Generale, perché mi passasse la mania di studiare mi ha mandato in Spagna è scritto così nella obbedienza. Quando sono tornato dalla Spagna 18 anni dopo mi ha fatto vedere quello scritto quindi ho saputo perché sono andato: perché mi passi la mania di studiare.
In Spagna, arrivato non sapevano che io arrivavo insomma, mi hanno dato da mangiare. 7 o 8 mesi di Spagna li ho passati come cappellano di ospedale a Valencia poi si Γ¨ aperto il seminarioΒ  e quindi assieme a due o tre compreso il padre Clemente PayΓ‘ MartΓ­ (1930-2002) siamo andati ad aprire il seminario a Plasencia, a dare il bianco alle pareti mettere,Β in piedi qualche letto e si Γ¨ iniziato a fare scuola.
Sono passati i fratelli MontΓ  e mi hanno portato a Tuy ad aprire la casa di Tuy dovevamo mangiare e bisognava far scuola e chi aveva i titoli? Nessuno! Le scuole dove andavo a dir messa mi hanno fatto il diploma di maestro e quindi abbiamo aperto la scuola elementare, fino a che non mi hanno chiamato ad Arco, dicevo messa alle monache coltivavo l’orto, la preghiera la facevo con le monache quando non andavo al monastero la dicevo solo. Mi sono letto libri di spiritualitΓ  sempre e sempre ancora non che sia diventato un mistico ho sempre avuto la zappa.

P. Stefano: Del mondo in cui viviamoΒ adesso, no, che impressione hai?Β Cosa pensi di come sta andando il mondo?

P. Luigi: Il mondo Γ¨ rotondo, pieno di guai, ma io ne ho sempre avuti da bambino, la Prima guerra mondiale, la nostra famiglia, la mia famiglia che era ricca Γ¨ sprofondata, seconda guerra, morti cugini. Come va il mondo? Ecco qui dipende dal Signore noi certamente tentiamo questo o quell’altro ma se non ci vengono le forze dal cielo rimaniamo soli.

P. Stefano: cosa è stato per esempio per te è molto importante del tuo cammino?

P. Luigi: Il fare la volontΓ  di Dio. Questo Γ¨ molto importante sempre, sia qui che la, quindi una ricerca di un incontro personale con Dio, quindi certamente un luogo puΓ² attirare come questo Monte Berico, ma sono stato anche sedici anni si o diciassette Mestre, sono stato ad Arco, in Spagna, ma certamente questo luogo Γ¨ il migliore dove io credo che me ne andrΓ², in paradiso, si trovare un luogo con una scala per andare in paradiso, l’ho cercato da giovane sdraiato nel campo e non sono arrivato in paradiso, sono arrivato nel letto con la febbre, me l’hanno tolta e ho ripreso il cammino, camminando verso il cielo quindi mi sono avvicinato monaco o frate o prete? Li ho fatti tutti e tre si puΓ² dire!

P. Stefano: Da sacerdote, la cosa che piΓΉ ti ha dato gioia, soddisfazione?

P. Luigi: Quando sono stato ordinato prete Γ¨ la piΓΉ grande soddisfazione. Ma il periodo di tempo Γ¨ sempre stato di lavoro,Β la presenza in mezzo i malati miΒ ha dato la maggiore soddisfazioneΒ perchΓ© si arrivava al cielo, come cappellano d’ospedaleΒ il periodo che maggiormenteΒ mi ha cosΓ¬ dato coraggioΒ contento dove il Signore mi ha messo! Vicino alla mia terra vicino al cielo.

P. Stefano: Grazie dai da una benedizione a tutteΒ le persone che ci seguono. Vuoi dare una benedizione?

P. Luigi: Sotto la tua protezione troviamo rifugio Santa Madre di Dio io confido in te benedici o Signore noi e tutti coloro che ascoltano nel nome del Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
E qua ho scritto molto perchΓ© da bambino,Β ci hanno insegnato a fare il diario da bambino.

P. Stefano: È il diario della tua vita?

P. Luigi: SI.

Il video dell’intervista Γ¨ visibile qui…

Umberto Ravagnani

NOTA: *Β Direttore della Biblioteca Berica di Monte Berico Γ¨ p. Giorgio M. Vasina, bibliotecaria Francesca Gaianigo.
FOTO
: Archivio storico della Provincia Veneta OSM (Vicenza) (email: archivio@pvosm.it).
1) Foto scattata il 22-12-2021 a Monte Berico per il 70Β° di ordinazione di p. Luigi Maria Verlato.
2) Foto scattata il 22-12-2021 a Monte Berico per il 70Β° di ordinazione di p. Luigi Maria Verlato.
3) Monte Berico: intervista di p. Stefano Bordignon a p. Luigi Maria Verlato, pubblicata il 9 febbraio 2022.
VIDEO: L’intervista di P. Stefano Bordignon a p. Luigi Maria Verlato del 9 febbraio 2022 Γ¨ visibile qui…
FONTE
: Archivio storico della Provincia Veneta OSM (Vicenza) (email: archivio@pvosm.it).

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L’ORIGINE DELLA CHIESA DI SELVA

[393] L’ORIGINE DELLA Chiesa DI SELVA
Determinazione, fervore religioso e sociale di una comunitΓ …

Nel cuore della pittoresca e fertile valle di Selva di Montebello, emerge una storia quasi incredibile attraverso le antiche carte d’archivio parrocchiali. In un vecchio manoscritto, si intrecciano veritΓ  e curiositΓ , offrendo uno sguardo vivace su un passato lontano ma ancora pulsante.
La localitΓ  di Selva, storicamente sottoposta alla parrocchia di San NicolΓ² di Agugliana, ha sempre nutrito un profondo desiderio di autonomia amministrativa. Questo anelito, rimasto inascoltato per oltre un secolo, testimoniava la tenace volontΓ  degli abitanti di Selva di affermare la propria identitΓ  ecclesiastica e sociale. Nonostante questo desiderio fosse spesso soffocato, l’aspirazione all’indipendenza ecclesiastica non si Γ¨ mai spenta, continuando a vivere nel cuore dei suoi abitanti come uno dei desideri piΓΉ ardenti e naturali.
Il manoscritto, redatto da un cittadino di Selva e trascritto dal curato Don Domenico Casalin nel 1894, offre un viaggio tra storia e leggenda. Tra le sue pagine si trovano racconti del lacus Dianae e del vulcano di Agugliana, echi delle visite di celebri viaggiatori del XVIII secolo e delle loro fantasie. Tuttavia, il fulcro della narrazione risiede in un’importante riunione dei capifamiglia della parrocchia, un evento che avrebbe segnato profondamente la storia della comunitΓ .
Durante questa riunione, si discuteva del restauro della canonica di San NicolΓ² di Agugliana. In un momento di audace provocazione, qualcuno propose di costruire una nuova Chiesa piΓΉ a valle, piuttosto che affrontare onerosi lavori di restauro. Questa proposta, inizialmente vista come radicale, venne accolta con un entusiasmo inaspettato. Il 26 marzo 1868, il prevosto benedisse la prima pietra della nuova Chiesa, con il parroco di Agugliana, Don Beniamino Rancan, che scelse di rimanere neutrale.
In soli dieci mesi, grazie al progetto del capomastro Giovanni Guarda, la nuova Chiesa si ergeva fino al cornicione. La costruzione fu resa possibile dalle generose donazioni in denaro, pietre e calce, e soprattutto dal lavoro gratuito dei β€œcuraziani”, il cui ardore cresceva insieme alle mura della Chiesa. Il 16 maggio 1869, la nuova Chiesa, sebbene ancora incompleta, fu benedetta, e il 3 dicembre 1871, il Santissimo Sacramento fu stabilmente deposto al suo interno.
Gli anni successivi videro ulteriori miglioramenti: la sagrestia fu costruita nel 1874, il coro e la stabilitura interna nel 1884, e il soffitto β€œalla piemontese” nel 1885. Orgogliosi della loro Chiesa, i residenti decisero di aggiungere delle campane. Il 23 giugno 1877, tre nuove campane furono consacrate, e la prima di esse fu benedetta dal cardinale di Verona, S.E. Luigi diΒ Canossa.
Alla fine del XIX secolo, la Chiesa fu ulteriormente abbellita con porte, una Via Crucis, quadri e un battistero. Tuttavia, il progetto della facciata, proposto da Gerardo Marchioro, fu accantonato a causa dei costi elevati. Parallelamente, la comunitΓ  di Selva si concentrΓ² sulla costruzione di un cimitero. Nonostante l’offerta di un terreno e il supporto del sindaco, la burocrazia impedΓ¬ la realizzazione del progetto, e si continuΓ² a utilizzare il cimitero di Montebello.
Dal 1869, i nuovi curati di Selva assunsero il compito di curare le anime, spesso in contrasto con Agugliana. Nonostante i frequenti avvicendamenti dei curati e le molte famiglie emigrate in Brasile e Argentina, la comunitΓ  continuΓ² a crescere, raggiungendo una popolazione di 980 persone all’inizio del Novecento.
Il fervore della comunitΓ  si manifestΓ² anche nella costruzione delle scuole, progettate dall’ingegnere comunale Pietro Frigo e completate nel 1882. L’edificio scolastico, situato vicino alla Chiesa, rappresentΓ² un altro traguardo significativo per la comunitΓ .
La storia della Chiesa di Selva di Montebello non Γ¨ solo un racconto di pietre e mattoni, ma un vivido esempio di determinazione, fede e comunitΓ . Questa narrazione ci mostra come un piccolo gruppo di individui, mossi da un comune senso di appartenenza e da una visione condivisa, possa superare ostacoli apparentemente insormontabili per realizzare i propri sogni. La costruzione della Chiesa e delle altre infrastrutture non fu solo un atto di fede, ma anche un simbolo tangibile della resilienza e dell’unitΓ  della comunitΓ  di Selva.
Le vicende della Chiesa e delle sue successive aggiunte rappresentano una testimonianza duratura dell’impegno collettivo. Nonostante le sfide burocratiche e le limitazioni economiche, la comunitΓ  ha dimostrato che con la cooperazione e la determinazione si possono raggiungere traguardi significativi. Questo spirito di solidarietΓ  e perseveranza Γ¨ ciΓ² che ha permesso alla piccola comunitΓ  di Selva di Montebello di costruire non solo edifici, ma anche una forte identitΓ  sociale e religiosa.

Umberto Ravagnani

FOTO: La Chiesa di Selva di Montebello in una foto degli anni ’60 del Novecento (collezione privata Umberto Ravagnani).
BIBLIOGRAFIA
: L.Zonin, Il campanile di Selva di Montebello, 2014.

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CASERME E SOLDATI A MONTEB.

[392] CASERME E SOLDATI A MONTEBELLO
durante la Repubblica di Venezia

Alla fine del XVI secolo, la Repubblica di Venezia instaurΓ² una rete di presidi militari su tutto il suo territorio. Uno dei presidi piΓΉ rilevanti era la fortezza di Palmanova. Lungo l’asse stradale che collegava il Friuli con i territori di Crema e Bergamo in Lombardia, furono erette caserme che ospitavano guarnigioni di diverse dimensioni: dalle piccole stazioni con pochi soldati, alle piΓΉ grandi nei capoluoghi di distretto. A Vicenza, la caserma della cavalleria si trovava nel quartiere di Portanova, oggi ricordato da β€œvia del Quartiere”. Altre caserme si trovavano a Carmignano di Brenta, allora parte della provincia di Vicenza, e a Montebello, che ne aveva due: una piccola dietro il palazzo comunale e una piΓΉ grande tra la piazza e il ponte β€œdel Marchese” sul torrente Chiampo.
Secondo gli storici, la caserma di Carmignano fu allestita tra il 1620 e il 1630, risultando gemella di quelle di Montebello per epoca, dimensioni e utilizzo. Dal β€œLibro delle Colte del Clero” emerge che tra il 1623 e il 1626 furono sostenute considerevoli spese per materiali e manodopera, indicando che in questo periodo si svolsero i maggiori lavori di costruzione e trasformazione delle strutture militari.
Nel 1629, il β€œQuartiero Viviano” di Montebello viene citato in un pagamento a un fabbro per la sostituzione di serrature. Nei primi anni di allestimento delle nuove caserme, spesso si preferiva affittare edifici giΓ  esistenti piuttosto che costruirne di nuovi, come avvenne successivamente a Montebello. Un contratto di affitto del 7 novembre 1616 potrebbe retrodatare l’esistenza di queste caserme, anche se non Γ¨ chiaro se si riferisca al β€œQuartiero piccolo o Viviano” o allo β€œStalone o li Quartieri” piΓΉ grande vicino al β€œponte del Marchese”.⁕
Nell’ottobre del 1706, una piena del Rodegoto e dell’AldegΓ -Chiampo colse di sorpresa gli abitanti di Montebello. I danni maggiori furono subiti dagli edifici lungo gli argini, tra cui quelli dei Marchesi Malaspina e la lunga caserma β€œde li Quartieri” occupata dalla cavalleria veneziana. I soldati dovettero affrontare grandi difficoltΓ  per salvare se stessi e i loro cavalli, e alcuni cercarono scampo aprendo varchi nei muri delle stalle.
Questa alluvione ricordava quella del 1691 e quella del 1696, entrambe devastanti per la comunitΓ . Anche questa volta, la piena rese inagibile l’accesso al ponte sul Chiampo, bloccando il movimento sulla Strada Regia. Il 9 ottobre 1706, Francesco Muttoni, perito degli β€œIngrossadori”, fu chiamato per ripristinare la caserma β€œde li Quartieri”. Nonostante Muttoni avesse proposto tre soluzioni, i deputati optarono per piccoli interventi, insufficienti a prevenire danni ulteriori causati da un’altra alluvione nel novembre 1710. Solo nel gennaio 1715 i β€œQuartieri” furono ripristinati sotto la gestione di Marco Zazon, che subentrΓ² al padre Gio.Batta dopo aver vinto l’appalto nel dicembre 1712.
Il quartiermastro era generalmente un militare preposto alla direzione di una caserma. A Vicenza, all’inizio del Settecento, questo ruolo era ricoperto dal capitano Camillo Trissino. A Montebello, invece, il quartiermastro era un civile che fungeva da albergatore per i soldati, curando gli edifici e fornendo assistenza alle truppe, in particolare per la gestione del fieno per la cavalleria. Il suo incarico veniva assegnato tramite gara d’appalto e durava cinque anni, con possibilitΓ  di riconferma.

Il β€œQuartier grande” di Montebello, con tre stalle per 55 posti, richiedeva maggior impegno. Le stalle piccole erano situate di fronte alla Strada Regia, mentre β€œlo stallone” si estendeva verso l’argine del Chiampo. Le camere erano per lo piΓΉ al primo piano sopra le stalle. Il β€œquartieretto” disponeva di due stalle per un totale di 12 posti e 11 stanze tra camere e salette. Questo assetto risulta da un inventario del 1715. Gio.Maria Guelfo fu uno degli appaltatori piΓΉ longevi, gestendo i quartieri di Montebello dal 1692 al 1712, nonostante le difficoltΓ  causate dalle alluvioni del 1692, 1702 e 1710. Durante il suo mandato, Guelfo fu accusato di appropriazione indebita e negligenza nella manutenzione, portando a una lunga controversia con l’amministrazione di Vicenza. Egli replicΓ² sostenendo che le truppe tedesche di passaggio nel 1705 non avevano pagato il fieno e avevano sottratto foraggio. Dopo l’alluvione del 1710, soldati del capitano Carrara avevano anche rubato denaro a suo figlio. Il successore di Guelfo, NicolΓ² Perana, dovette affrontare simili difficoltΓ  nel far rispettare i pagamenti da parte dei soldati. Nonostante questi problemi, il ruolo del quartiermastro rimase cruciale per garantire il funzionamento delle caserme e il supporto logistico alle truppe, contribuendo cosΓ¬ alla difesa del territorio della Repubblica di Venezia.
Le caserme veneziane, con la loro rete di presidi militari, rappresentarono un elemento fondamentale per la difesa e il controllo del territorio. Il ruolo dei quartiermastri, spesso civili che vinsero gare d’appalto, fu essenziale per il mantenimento e la gestione logistica di questi edifici, dimostrando l’importanza della collaborazione tra autoritΓ  militari e civili. Le vicende delle alluvioni e delle difficoltΓ  logistiche evidenziano le sfide che queste strutture dovettero affrontare per rimanere operative nel tempo. Nonostante gli ostacoli, l’efficienza della rete di presidi militari contribuΓ¬ significativamente alla sicurezza e alla stabilitΓ  della Repubblica di Venezia.
In conclusione, la gestione delle caserme fu una componente cruciale della strategia difensiva della Serenissima. Le sfide affrontate, dalle calamità naturali alle difficoltà amministrative, furono superate grazie alla dedizione e alla competenza di coloro che gestivano queste strutture, garantendo così la protezione e il benessere dei territori sotto la loro giurisdizione.

Umberto Ravagnani – Ottorino Gianesato

DISEGNO: La caserma posta non lontano dal ponte del Marchese. Le stalle erano al piano terra e le camere al primo piano. (Disegno di Umberto Ravagnani, ricavato da un bozzetto, non firmato nΓ© datato, probabilmente del perito Francesco Muttoni, eseguito nei primi anni del 1700).
BIBLIOGRAFIA: O.Gianesato, “Miscellanea di storia montebellana“, 2009.
NOTA: ⁕ Vedi anche l’articolo MONTEBELLANI DEL PASSATO (1).

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SUOR GABRIELLA MENEGON

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PIERANTONIO COSTA

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ANTONIO BARTOLOMEO FRIGO

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PADRE SANDRO DANIELI

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NUOVE CAMPANE PER LA CHIESA

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L’ANTENATO DEL CASELLO

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