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BORGOLECCO STORY (12)

 

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I TRI FRADEI DA MONTEBELO

 

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IL VIALE DELLA STAZIONE

[202] IL VIALE DELLA STAZIONE
LINO TIMILLEROCONISTON – Nuovo Galles del Sud (AUSTRALIA)


LINO TIMILLERO, emigrato da Montebello in Australia nel 1967, ci ha inviato questo bell’articolo su:

Il Viale della Ferrovia a Montebello Vicentino
« Nel 1956 iniziai a frequentare l’Avviamento Industriale Alessandro Rossi a Vicenza. Mio fratello Albano aveva terminato, con la ‘Promozione a Giugno’, la Terza classe. Iniziando egli a lavorare, potevo io prendere il suo posto col nuovo anno scolastico. La nostra famiglia non si poteva permettere alcuna spesa superflua. Avrei dovuto andare a Vicenza con il Treno tutti i giorni, eccetto la Domenica. In quegli anni, il treno era ancora a Vapore. Si doveva stare attenti a quel che si toccava e dove ci si sedeva!! Mio padre era in Francia a lavorare per la stagione delle “Barbabietole da Zucchero” e sarebbe tornato ad Ottobre. E mia madre doveva, in qualche modo, racimolare il denaro per pagare l’Abbonamento al treno. Ogni mese! Terminata la Terza Avviamento, potei frequentare la prima classe del Corso Saldatori dello ‘Istituto Professionale Fedele Lampertico’ che aveva appena iniziato come nuovo Istituto tecnico. Sarebbero stati altri due anni di scuola! In tutto, feci uso del treno e della Ferrovia per cinque anni. Anche quattro volte al giorno, perché c’erano le lezioni del pomeriggio, dalle 2 alle 6. Su e giù per le scale della Stazione. Salta sul Treno. Scendi a Vicenza. E via di corsa per non arrivare tardi in classe! È stato il video di Umberto Ravagnani sulla Stazione di Montebello che mi ha fatto pensare, ora, a quel lontano periodo della mia vita. Se faccio il conto degli anni, ne conto 63, cioè sessanta tre anni or sono, camminavo dal numero civico 44, in Via Borgolecco, fino alla Stazione Ferroviaria, due volte al giorno, e anche 4, come ho accennato. Con il sole o con la pioggia ed, a volte, con la neve, col vento o con la nebbia! A Vicenza, stessa cosa: dalla Stazione a Santa Caterina per l’Avviamento; oppure fino a Palazzo Angaran, al Ponte degli Angeli per il Fogazzaro. Sempre a piedi. Cinque anni di scuola a Vicenza, mai salito sul Bus o sul Filo-Bus! Chi mi dava i soldi???
La Ferrovia a Montebello, da come io mi ricordo, non è mai stata un punto di argomento. Non so come sia oggigiorno, con la TAV sempre in discussione. Ma, con tutti gli anni che la Linea Ferroviaria è in funzione, che sappia io, nessuno ne ha mai parlato o scritto. Come per gli Argini del Chiampo e del Guà. Per la gran parte dei Montebellani, la Ferrovia c’è sempre stata, come gli Argini. Cosa si può dire al loro riguardo? Eppure, la Ferrovia e gli Argini di ambedue i Torrenti, sono connessi per la loro costruzione. Qualcuno, più studiato di quel che io sono, si dovrebbe prendere la briga di far conoscere agli scolari delle classi IVa e Va alle Elementari un po’ di Storia della Ferrovia che attraversa il Paese per andare poi in tutta l’Europa. Non solo a Venezia e Verona. Quello che mi ha incuriosito, dopo tutti gli anni che sono in Australia, è scoprire la ragione della posizione così altolocata della Ferrovia! Dal piazzale prospiciente la Stazione, si devono salire le scale per raggiungere il livello dei binari. E ci sono, (o c’erano) ancora scale per la famiglia del Capo-Stazione che abitava nell’appartamento soprastante. Ed il piazzale è già elevato rispetto il terreno circostante. Saranno 15 metri tra il livello dei campi e la posizione dei Binari! Basta guardare dov’è l’Autostrada!!! Andare a prendere il treno quando fu costruita l’Autostrada era un problema! La strada venne sostituita dal ponticello pedonale ancora in uso oggi!
Per soddisfare la mia curiosità, sono andato ‘on-line’, come si dice adesso. Per prima cosa sono entrato nel “google-map” per seguire la Ferrovia. A Locara, la Ferrovia inizia ad alzarsi. Fino al livello odierno. Tutte le strade che attraversano la Ferrovia lo fanno tramite una corta galleria costruita appositamente. Si arriva fino ad Alte di Montecchio prima di trovare un ponte che passa sopra la Ferrovia!!! Chiunque può notare che, per una quindicina di Km., la Ferrovia si mantiene ad un’altezza costante dal livello del terreno attorno. Sono poi entrato nella ‘Wikipedia’. Ho trovato: “Imperial Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea”. Questa era la ‘Compagnia per Azioni’, fatta col permesso dell’Asburgico Imperatore Ferdinando I° d’Austria. Tale ‘Compagnia’ aveva la licenza per progettare e costruire la Linea Ferroviaria Milano-Venezia (anche volendo, mai avrei potuto inventarmi tal nome!). E mi son dovuto ricordare la Storia del Risorgimento Italiano!!! La sezione Vicenza-Verona fu inaugurata il 2 di Luglio 1849! Appena terminata la Ia Guerra d’Indipendenza! Poco più di un anno dopo la “Battaglia di Sorio”. Con Venezia da poco sottomessa, dopo la sua Insurrezione. E con altre Rivoluzioni nell’Impero Asburgico. Tredicimila uomini lavorarono per costruire la Ferrovia da Vicenza a Verona! Non riesco ad immaginarmi come poterono: senza alcuna macchina. Da Locara a Ca’ Sordis!!! Quindici metri di terrapieno per 15 Km…! E perché??? Tutto il circondario di Montebello era famoso per le grandi Alluvioni che accadevano senza alcun avvertimento! Per questo, chi aveva investito il denaro occorrente per costruire la Ferrovia, voleva essere sicuro di ricevere un certo ritorno sul proprio rischio. Ecco dove entrano nell’argomento gli Argini dei due Torrenti. Se si pensa alle alluvioni dei primi anni del “1900” e quelle antecedenti, molto più severe, si capisce che la Ferrovia avrebbe potuto funzionare senza alcuna interruzione. Le acque alluvionali sarebbero defluite tramite i ‘tunnel’ delle numerose strade che la sottopassavano. E anche gli argini vennero rinforzati. Se penso al Viale della Stazione di 63 anni fa, vedo ancora gli Ippocastani rigogliosi che ne costeggiavano ambedue i lati. In Primavera, quando erano in fiore, si notavano, intervallate, fioriture bianche e rosse! Luigi, a quel tempo studente al Liceo Pigafetta, mi disse che il Bianco ed il Rosso dei fiori, accanto al Verde delle foglie, formavano la Bandiera Italiana. In barba agli Austriaci che pagavano per piantare gli Ippocastani stessi! Ciò vuol dire che anche gli Ippocastani facevano parte della Storia di Montebello!! Tramite la Tecnologia del Computer, mi sono fatto una passeggiata “virtuale” lungo il Viale della Stazione odierno. Non so. Vedo degli alberi. Ma non riesco a capire che alberi siano! Forse, vicino al Ponticello Pedonale è rimasto qualcuno degli antichi, originali Ippocastani. Gli Ippocastani erano sui due lati del Viale: dal distributore di benzina all’Aquila, fino alla Stazione.
La notte delle Mille-Miglia c’erano centinaia e centinaia di persone che guardavano le automobili che partecipavano alla Corsa. Arrivavano dai paesi vicini. Mettevano le biciclette, a pagamento, in corte da Stocchero. Poi rimanevano tutta la notte lungo il Viale. Dopo che era transitato il “ConteMarzotto col suo “Bolide”, la gente cominciava a sfollare, verso le sei del mattino! Adesso, purtroppo, mi sembra che non si puliscano neanche i marciapiedi, lungo il Viale. E “google-map” non mentisce! » Linus DownUnder – Lino Timillero, Coniston 5-3-2019.

Foto:
1) Cartolina postale che mostra una veduta del viale della Stazione di Montebello, ripreso dalla cosiddetta ‘curva de Majeto‘ dove, per molti anni, è stato attivo il ristorante ‘Alla Stazione‘ di Cesare Maggio. La cartolina risale alla fine degli anni 30 del Novecento (APUR – Archivio privato di Umberto Ravagnani).

Il ‘Viale della stazione’ in un breve riassunto del video al quale Lino fa riferimento nell’articolo:


Umberto Ravagnani

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IL CAPITELLO DELLE CARPANE

 

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LA FAMIGLIA CENZATTI

 

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L’EROE DI MONTELUNGO

[1] L’EROE DI MONTELUNGO

Imboccata la stradella delle Carpane da Via Borgolecco oltre la scuola materna, ecco le Scuole Elementari dedicate a Giuseppe Cederle di cui una semplice lapide di pietra, posta davanti all’edificio l’8 dicembre ’93, ricorda il cinquantesimo della morte nell’attacco del Monte Lungo.
Il giovane sottotenente durante il servizio militare aveva scritto all’amico Aldo Biscotto: “Sono sincero se ti dico che desidero il fronte non tanto per il culto del rischio, quanto per l’intimo bisogno di potermi dire combattente e avere diritto a chiamarmi italiano, chè non siamo italiani se non viviamo, ognuno nel proprio campo, il sacrificio, l’eroismo del momento.” Il suo desiderio di condividere con i compagni del fronte” l’ansia e il fremito del cimento e del pericolo” fu alla fine esaudito ed egli fu inquadrato in prima linea, alla testa del terzo plotone di quel 67° Reggimento Fanteria già combattente sul Monte Santo  nel 1917.

Nell’alba nebbiosa dell’8 dicembre 1943 mosse all’attacco di uno dei più muniti baluardi tedeschi di fronte a Cassino, tra roccioni e caverne, sotto il micidiale tiro di mitragliatrici, mortai e bombe a mano. Attendeva la prova, era pronto a morire; ma, come ricorda lo storico montebellano Bruno Munaretto, “nel muto e rude abbraccio del cappellano militare prima dell’operazione, c’è già tutta la profonda commozione di chi intuisce che, molto probabilmente, non farà più ritorno”.
Nonostante un braccio fracassato, avanza e incita i suoi soldati: ” Ho dato un braccio alla Patria; non importa, avanti, per l’onore d’Italia.” Colpito a morte trova la forza “sovrumana” di scagliare la sua bandiera contro il nemico: sul petto i suoi trovano un gran Crocefisso, il Tricolore e la Croce simboli d’Italia e di Cristo per i cui ideali il giovane maestro era vissuto ed era morto a 25 anni.
L’eroico comportamento dell’ufficiale rinsaldò la volontà e il valore del 67° Fanteria e a soli otto giorni dall’inizio della battaglia Monte Lungo ritornava italiana, tutta la linea nemica infranta e aperta la via a Cassino. Il decreto di Umberto di Savoia, luogotenente del regno, lo gratificò di gloria e onore conferendogli la medaglia d’oro al valore militare; ed è certo che il suo estremo sacrificio diede un contributo alla liberazione d’Italia.
Altri come lui, ma fuori dei confini italiani, nella drammatica e caotica situazione che seguì l’armistizio dell’8 Settembre, diedero prova di fiera consapevolezza e non cedettero le armi ai Tedeschi. L’episodio più illuminante ci è dato dalla resistenza della divisione Acqui a Cefalonia.
Della sua giovane vita non si possono però, tralasciare alcuni importanti aspetti. Il compagno di collegio e amico Renato Ghiotto ricorda di essere stato impressionato dalla forza del suo entusiasmo, dalla generosità, che era capacità di offrirsi “consumandosi” per gli altri, senza sforzo apparente, perché l’atteggiamento era sereno, ma in realtà con spirito di sacrificio.
Don Antonio Basso testimonia di come Beppino distribuiva bene il suo tempo nell’arco della lunga giornata tra oratorio, scuola di canto, biblioteca, attività di Catechismo e di Azione Cattolica: “In tutte le cose egli ci metteva l’anima fremente d’entusiasmo.” Don Faresin evidenzia il suo carattere vivace e originale che si accompagnava a profondità di pensiero. Il suo aspetto era piuttosto gracile, non certo d’effetto, ma in caserma era stimato per le sue capacità militari e per la franchezza con cui teneva alta la bandiera della Chiesa e della sua Università Cattolica. Non sopportava chi soffriva di coniglite acuta! Padre Tintorio osserva che nei luoghi del servizio militare riuscì più di qualche volta nel suo intento di apostolato cristiano, fino a condurre in Chiesa i compagni indifferenti e a “rinchiudere” per esercizio spirituali una trentina di allievi ufficiali. Quando non ce la faceva, si sentiva debole e sgomento si chiedeva: “perché questi giovani non capiscono Cristo?”
Fa riflettere la considerazione, sempre dell’amico Ghiotto, che “E’ morto combattendo per la libertà, come sarebbe morto per un altro scopo generoso in un’altra generosa battaglia, nel modo in cui l’uomo buono sa morire.”
E se questo giovane studente universitario, dalle doti intellettuali e morali indubbiamente notevoli, si fosse trovato a vivere nella nostra età, in un’Italia che ha attraversato complessivamente un lungo periodo di pace, ma con momenti oscuri e inquietanti, in quali battaglie si sarebbe imbarcato? Ma quale che fosse la linea si cui “combattere” è certo che non si sarebbe tirato indietro. “A ricercare la Patria smarrita quassù l’amore un giorno m’ha sospinto. Il nemico m’uccise, ma fu vinto: Mamma, perché rimpiangi la mia vita?”

Silvana Marchetto Fattori (dal N° 3 di AUREOS – Dicembre 2002)

Figura: La scuola Elementare G. Cederle negli anni ’50 del Novecento (disegno a cura del redattore).
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