IL PONTE DI SANT’EGIDIO (5)

[60] IL PONTE DI SANT’EGIDIO (detto anche il ponte di S. Zilio, il ponte de’ la GuΓ , il ponte Asse) (ultima parte)

LE PIENE E LE ROTTE FREQUENTI INSIDIANO I PONTI E LE STRADE

Le ridotte dimensioni degli alvei e la scarsa elevazione degli argini contenevano a malapena le impetuose piene causate delle intense piogge, minacciando, giorno dopo giorno, l’integritΓ  dei ponti ed allagando le campagne circostanti. Le cronache dell’epoca riportano frequentemente questi eventi seguiti da lunghe minute di spese sostenute per le manutenzioni. A dimostrazione di quanto detto, pochi anni dopo la sua completa riedificazione, il ponte di Sant’Egidio fu oggetto di un pesante intervento costato migliaia di Lire eseguito sotto la direzione del suo presidente il Conte Francesco Sangiovanni.

9 Aprile 1588
Conto de’ la spesa fatta per il Magnifico Signor Francesco Sangiovanni nel far fare doi muri al ponte de’ La GuΓ  nelle pertinenze di Montebello. L’uno in detto ponte verso la detta villa cavato dalli fondamenti e cascato dalla inondazione del detto torrente GuΓ , l’altro per l’ala di difesa del detto muro dalla stessa parte verso detta villa,contiguo al predetto muro in figura di triangolo, per difesa contro il detto torrente.

20 Dicembre 1605
Avendo come siamo, certificato il mese di ottobre passato, il torrente GuΓ  rotto gli arzeri giΓ  fatti e laudati per la regulatione delle acque del Chiampo et oltre fatto due rotte con inondazione dei campi circonvicini et in particolare nelle Ville di Montebello, Brendola e Meledo …

18 Novembre 1613
Il Capitanio di Vicenza Pietro Giustinian così scriveva:
Essendo stata data piena informatione per l’interventi delli figlioli del fu Conte Girolamo Valmarana, l’evidente pericolo che son stati cosΓ¬ li beni et possessioni de’ detti figlioli nelle pertinenze di Montebello in CONTRA’ DI SANT’EGIDIO, et altri interessati come la Strada Reggia, da esser per la piena di queste acque passate, tutti ingiarati e deguastati, per ritrovarsi gli arzeri del torrente della GuΓ  in cattivissimo stato dalla parte verso Montebello e quella parte di arzere che Γ¨ imbocco della strada comune poco discosta da detta β€œriva Bathoca” (a sud della confluenza del torrente Poscola nel GuΓ  – n.d.r.) che non solo una escrescentia di acque, come Γ¨ stata questa passata, serΓ¬a stata Γ  romperli tutti in detti lochi, con annegare tutta la campagna, la Strada Reggia, ma anco minor piena, non essendoli stati servati per la resistenza che hanno havuto d’acque delli suddetti arzeri, ma per la provvidenza di Dio che non han permesso che segua una rotta de’ sopra di SAN GIACOMO verso Montecchio, et un’altra di rimpetto de’ detti arzeri al Ponte verso Vicenza, et in tal maniera devastati, l’acqua delle suddette parti deboli per le dette rotte fatte e l’opera di persone che a caso lΓ¬ sono abbattute sopra detti arzeri, miracolosamente sono stati salvati, onde per l’occasione Γ  qualche altro infortunio occorrerΓ , volendo noi, che in conformitΓ  delli mandati nostri e del pre(de)cessore nostro, sìì ad ogni modo per li confinanti con detti arzeri, o chi si aspetta, accomodati.
Pertanto commettemo (ordiniamo) a tutti gli infrascritti che subito e immediate debbino far accomodare detti arzeri et in particolare in dette parte cosΓ¬ pericolose, dovendo il Comune et Uomini di Montebello far una pontara nella strada che va a passare nella strada sopra l’arzere suddetto, per fortificare a sicurezza di quello, altrimenti si manderΓ  un perito per far l’operatione suddetta a tutte loro spese che andasse assicurar, per le pene de’ suddetti mandati, quali istantaneamente mandino imposte.
Et contra ogn’uno di essi ad eseguire con rigorose pene per tutte le spese del perito, sarΓ  giudicato doversi fare, per l’effetto suddetto, cosa alcuna, non ostante in contrario intendendosi levata ogni sospensione concessa per noi, per li mandati suddetti. Ma se alcuno si sentisse aggravato accomodarli prime li arzeri suddetti nel modo suddetto, essendo negotio che non patisse dilatione, compar davanti a noi per dedur il suo gravame che daremo per administrare giustitia … 

Come si puΓ² intuire, bastΓ² l’interessamento dei nobili Valmarana, i cui beni erano per altro fortemente minacciati, per smuovere dall’immobilismo i Deputati β€œAd Utilia” (alle cose utili) – n.d.r.) e costringerli ad interessarsi dei gravi problemi creati dal torrente GuΓ .
Ecco perché, il 30 gennaio 1614, il perito Girolamo Roccatagliata eseguì una visita ai luoghi interessati ai lavori di ripristino, il che evidenziava però che tutte le raccomandazioni e minacce fatte al Comune di Montebello non erano servite a produrre il benché minimo intervento sugli argini. E questa situazione di stallo si protrasse per qualche anno prima di vedere qualche iniziativa diretta a risolvere la precaria situazione in atto.

PEGGIORANO ULTERIORMENTE LE CONDIZIONI DEL PONTE DI SANT’EGIDIO

Che la situazione statica del ponte si fosse aggravata lo si capisce dalla lettera che il Capitanio di Vicenza Giacomo Nani scrisse alla Dominante (Venezia) il 5 Aprile 1617:

Il ponte di Montebello, situato sulla strada maestra che va a Verona, Γ¨ formato da tre archi e sostenuto da due gran pilastri quali riescono di grandissimo impedimento al corso di quel torrente, il quale precipitando da monte torbido e giaroso e urtando essi pilastri, vi lascia della materia che porta seco et ha in (tal) maniera alzato il suo letto con giara e cogoli che in brevissimo tempo resteranno otturati gli archi predetti. SΓ¬ che non potendo il torrente proseguire il suo velocissimo corso, ma rigurgitando impetuoso, farΓ  con l’inondazione nuove rotte e lacrimabil rovine.
La Strada Reggia e l’altre avea subito devastate, li campi di quel contorno tutti inondati, et unendosi con il Chiampo, torrente ancor lui rapidissimo, ambedue conducendo seco gran materia di terra et giara, entrando per necessitΓ  nell’Adese, l’alveo del quale essendo incapace, cagioneranno rotte nel medesimo Adese, rovineranno la navigatione di quel fiume apporteranno grandissimo danno alla fortezza di Legnago, et infine il Polesine et altri luochi resteranno inondati. Ne Γ¨ dubbio alcuno che tutti questi gran mali non siino per succedere facilmente quando non venghino presto con il remedio reputato unico e singolare.

In prima: reducendo il ponte predetto di Montebello in un solo arco acciΓ² il torrente senza impedimento delli pilastri possa continuar il suo corso,Β 

per seconda: drizzar e allargar gli alvei de’ detti due torrenti (e)levando gli arzeri fuori regolaΒ 

per terza: levar l’alveo di certe acque chiamato l’Acquetta che si fa per una rotta del torrente Chiampo.Β 

In queste opere tanto necessarie non doverΓ  restar interessata la SerenitΓ  Vostra di spesa alcuna potendosi cavar il denaro per riformar il ponte da un giusto CAMPODEGO da esser fatto sopra li beni de’ confinanti e dell’inferiori, estendendosi anco nel Veronese, poichΓ© tutti questi saranno per sentire grandissimo beneficio … Β 

Ma nonostante che la richiesta del Capitanio Giacomo Nani fosse inequivocabilmente improrogabile e drammatica, la situazione del ponte rimase priva di attenzioni, cioΓ¨ nella stessa in cui si trovava dopo il grande intervento di manutenzione apportato nel 1588. Era impossibile che in un lasso di tempo di 30 anni il manufatto restasse completamente integro senza bisogno di cure radicali. E, cosa ancor piΓΉ grave, questa criticitΓ  perdurΓ² fino al 1629. Infatti nel frattempo (1627), l’incontrollabile ed enorme accumulo di ghiaia e detriti legnosi formΓ² una insormontabile barriera tra i pilastri e le rive. Per scongiurare il pericolo che il nascere di una diga naturale producesse un lago artificiale, e che l’ improvviso cedimento della stessa provocasse una immane ondata deleteria per i paesi a valle, ed in particolare Sarego e Lonigo, il Senato Veneziano inviΓ² sul posto per porvi rimedio i periti Marco Barbaro, NicolΓ² Dandolo e Giacomo Moro. I tre esperti individuarono come migliore soluzione ridurre lo spessore dei piloni del ponte da 8 a 6 Piedi colmando l’ulteriore vuoto che si sarebbe venuto a creare tra pilastro e pilastro con nuovi tavoloni di larice, da cui il nome di Ponte Asse.

Ottorino Gianesato (dal NΒ° 10 di AUREOS – Marzo 2018)

Figura: Riproduzione manuale del disegno originale del ponte di Sant’Egidio fatto dal perito Hercole Peretti nel 1629 (a cura di Ottorino Gianesato).

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UNA RAPINA A MANO ARMATA

[27] UNA RAPINA A MANO ARMATA

Il PodestΓ  di Vicenza Camillo Gritti (1) ebbe un bel da fare nell’emettere sentenze contro le numerose bande armate che imperversavano nel vicentino. La strada che da Montebello portava a Vicenza si prestava benissimo, per il suo completo isolamento, all’assalto delle varie carrozze che su questa vi transitavano.
ANNO 1787 L’ANTEFATTO: quattro malviventi, capeggiati da un bandito che aveva eluso il confino, passano da un semplice furto di granaglie (complice la pioggia inattesa) ad un assalto alle carrozze.
IMPUTATI: ANTONIO del fu BORTOLO LO.
CARLO PA. detto “bassotto” figlio di ANTONIO
GIUSEPPE LO. detto “pollin” del fu ANTONIO cognato del suddetto ANTONIO (LO.)
GIO. BATTA DO. del fu BORTOLO. Tutti di Montecchio Maggiore.
La sentenza prosegue, con linguaggio processuale dell’epoca, spiegando che il Sig. Gio. Batta Conforti, nobile bresciano, sostenuto dalle dichiarazioni del suo cocchiere Gio. Batta Filippi, da quelle del cameriere Gio. Batta Bianchi e da quelle di Alberto Tornago β€œconnestabile” (responsabile delle scuderie), Γ¨ la “parte lesa” nel processo e che l’Eccellentissimo Consiglio dei XII dΓ  la facoltΓ  a questa Corte di condannare e punire i rei, presenti e assenti, al bando a vita dalla cittΓ  di Venezia e da tutto il Dominio della Serenissima e di condannarli alla galera e alla confisca di tutti i loro beni.
Segue quindi la descrizione dell’accaduto cosΓ¬ riassunta:
Mentre i 4 inquisiti si trovavano in casa di Carlo Pa., detto “bassotto”, a Montecchio Maggiore, nella notte del primo Novembre, Antonio Lo. propose di andare a rubare del β€œsorgoturco” nella campagna vicina. Con tre sacchi e muniti di due fucili e di coltelli andarono sulla strada pubblica che da Montebello porta a Montecchio, nei pressi della Gualda, per portarsi poi nei campi vicini e rubare come avevano stabilito. A causa della pioggia che cadde improvvisa, cercarono rifugio presso la chiesetta semi diroccata di San Giacomo (2) e, verso le 4 del mattino, capitarono nei pressi dell’Osteria Grande (3) a Montebello, dove si era fermato a rinfrescarsi il nobile Sig. Gio. Batta Conforti con sua sorella Dorothea. Questi era giunto a Montebello con una carrozza trainata da 4 cavalli con il cocchiere, il cameriere e lo staffiere. Al Β sopraggiungere della carrozza Antonio Lo. disse agli altri compagni: “la xe qua … coremo drio a quela carrossa, toleghemo i soldi!“. Detto fatto la inseguirono e, una volta raggiuntala, Giuseppe Lo. puntΓ² il fucile al volto del cocchiere minacciandolo di morte e intimandogli di fermare i cavalli. Lo stesso fece Antonio Lo., con il suo fucile, verso il cameriere e lo staffiere. A questo punto Antonio Lo. passΓ² il fucile al compare Gio. Batta Do. e, minacciando con il coltello il Sig. Conforti, gli chiese di consegnargli i soldi. Lo stesso fece Carlo Pa. minacciando con il coltello la sorella del Conforti. Spaventato da tanta ferocia, il Sig. Conforti estrasse dalla saccoccia 2 Ducati e li lanciΓ² a terra verso il suo aggressore. Antonio Lo. fece segno al Conforti di volerne ancora, al chΓ© il Conforti gli gettΓ² altri 6 Ducati e altre varie monete, che il brigante raccolse prontamente. Nel frattempo Carlo Pa. si era fatto consegnare la borsa dalla sorella del Conforti con dentro una somma pari a circa 150 lire. Fatto questo Carlo Pa., minacciando il cameriere, si fece consegnare da questi due orologi d’argento, alcune monete milanesi pure d’argento ed altre cose conservate in un cassettino che teneva accanto a sΓ©.
Non contento di tutto questo, ancora Carlo Pa., tagliΓ² le corde che legavano il baule dietro la carrozza e lo trascinΓ² in una vicina stradella di campagna. In quel mentre, sopraggiunsero tre “postiglioni” (i nostri portalettere) a cavallo, provenienti da Vicenza e diretti a Montebello, dove esisteva una importante Stazione di Posta. Alla vista di questi il Sig. Conforti si fece coraggio e scese dalla carrozza, ma subito intervenne Antonio Lo., riprendendosi il fucile dalle mani di Gio. Batta Do., lo rivolse contro i postiglioni intimando loro di proseguire se non volevano fare una brutta fine. Questi obbedirono e non restΓ² altro da fare al Conforti che tornare in carrozza accanto alla sorella. Intanto Carlo Pa. e Antonio Lo., trascinato il baule in un campo vicino, lo aprirono a colpi di pietra e misero tutto ciΓ² che conteneva nei sacchi che avevano ancora con loro. Infine si portarono a casa di Gio. Batta Do., bruciarono il baule e misero tutta la refurtiva in una cassa.
Naturalmente il Conforti e il suo seguito, appena giunti a Vicenza fecero denuncia alle autoritΓ  le quali inviarono immediatamente i soldati ad individuare ed arrestare i delinquenti. Gli imputati Antonio e Giuseppe Lo., Carlo Pa. e Gio. Batta Do. furono ben presto ritrovati con le “mani nel sacco“, essendo ancora tutti assieme nella casa di Gio. Batta Do., con tutta la refurtiva. Non potendo quindi negare la loro azione criminosa fu concesso loro un avvocato d’ufficio (allora si chiamava Procuratore de’ Poveri prigionieri) che venne messo al corrente dei fatti ma, questi, non potΓ© fare altro che constatare che tutte le prove erano contro i suoi assistiti. In breve tempo fu emessa la tremenda sentenza: Β« Antonio Lo. Γ¨ accusato di “assalto alla Pubblica Strada” e di un “considerevole asporto di denari ed altri effetti“, sia condotto in Campomarzo dove il boia lo appenderΓ  alla forca “per le canne della gola” finchΓ© non morirΓ . Gli altri tre imputati Carlo Pa., Giuseppe Lo. e Gio. Batta Do., siano inviati a servire sulle galee (lavori forzati come rematori nelle navi della Serenissima Repubblica) per 10 anni continui ciascuno o, in caso di “inabilitΓ “, siano rinchiusi in prigione, senza finestre, per 20 anni continui. In caso di fuga saranno banditi per sempre da tutto il territorio della Serenissima Repubblica Β».
In altri processi, con i medesimi capi di imputazione, il Giudice non infliggeva la pena di morte, ma pene detentive; in questo caso, volendo forse dare un esempio di durezza, decise la pena capitale, per altro non eseguita per la morte dell’imputato durante la detenzione (infatti davanti al nome del condannato appare una croce).

Note:
(1) Il podestΓ  era il titolare della piΓΉ alta carica civile nel governo della cittΓ  all’epoca dei fatti (N.d.R.)
(2) La chiesetta di San Giacomo, che si trovava lungo la strada per Montecchio Maggiore, subito dopo la Gualda, ma sulla destra, Durante lo svolgimento dei fatti era cadente e, nei primi anni del 1800, il Comune di Montecchio ne ordinΓ² la demolizione perchΓ© considerata un “asilo di ladri“. Spesso, infatti vi si rifugiavano malfattori per tendere imboscate a coloro che transitavano per questa importante arteria (N.d.R.)
(3) L’Osteria Granda era quella dei conti Valmarana, situata nell’angolo formato dalla confluenza di Via Pesa in via XXIV Maggio, verso la Piazza (N.d.R.)

Ottorino Gianesato (dal NΒ° 4 di AUREOS – Dicembre 2003)
(Fonte: Archivio di Stato di Vicenza, “Raspe” busta n. 18)

Figura: Ricostruzione di fantasia a cura del redattore.
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