[45] LA DOTE NEI SECOLI XVI E XVII
Il ricercatore che frequenta gli archivi di stato, nel momento in cui esamina gli atti notarili dei secoli passati, rimane subito colpito dallβalta frequenza di atti riguardanti la dote, nelle varie forme: inventari, stime, cauzioni, cause legate ad eventuali inadempienze. Quale il motivo di tanta frequenza? PerchΓ© fare la dote alla figlia che si sposava era un obbligo sancito dalla legge a cui non era possibile sottrarsi. Infatti gli Statuti della CittΓ di Vicenza indicavano meticolosamente le normative che regolavano lβistituto della dote, in tutta la sua casistica. E βinΒ primisβ stabilivano lβinalienabilitΓ della dote, cioΓ¨ i beni dotali erano proprietΓ esclusiva della donna vita natural durante. Il marito poteva sΓ¬ amministrarli, ma mai venderli (se non in casi estremi, con il consenso della moglie e con lβassenso favorevole del giudice a cui era obbligato rivolgersi). In caso di morte della donna, se essa non aveva figli, i beni dotali tornavano alla famiglia dβorigine. Se invece aveva figli, generalmente, alla sua morte, come testimoniano gli atti testamentari, essa lasciava i suoi beni ad essi, riservando alle figlie gli oggetti di uso personale, la biancheria, i mobili, eventuali gioielli. La dote doveva essere inventariata e stimata, cosa che veniva fatta solitamente da un sarto (o da due eletti dalla famiglia della sposa e da quella dello sposo) per ovvie ragioni. Queste stime ci consentono di avere delle utili indicazioni sui prezzi dei beni mobili del tempo, anche se gli oggetti inventariati erano spesso usati. Successivamente al matrimonio, ma i tempi variavano di molto, dai pochi giorni a molti anni, ci si doveva recare dal notaio, con lβinventario stimato e firmato della dote, per fare lβatto pubblico della dote. Spesso oltre ai beni mobili il padre della sposa includeva una certa cifra in denaro e talvolta, in ambito contadino, una pezza di terra. Beni questi ultimi che venivano consegnati ratealmente a distanza di tempo, e motivo, negli eventuali ritardi, di liti e cause giudiziarie. Nellβatto notarile il marito promette di conservare i beni dotali della moglie assicurandoli sopra i suoi, e promettendo, nel caso, di restituirli a norma di statuto. La dote includeva la rinuncia della donna a qualsiasi pretesa sullβereditΓ paterna.
A Montebello, quasi sempre, la moglie, alla morte di suo padre, concorreva, certo in misura minore, alla spartizione dei beni paterni. Nei ceti popolari il valore medio della dote poteva oscillare tra i 150-200 e i 400-500 troni, ossia tra 30 e i 100 ducati nel periodo fine 1500, inizi del 1600. Ovviamente diverso Γ¨ il discorso per le doti dei Nobili o della incipiente grossa borghesia, quando le doti potevano valere migliaia di ducati. Esaminando in dettaglio i beni portati in dote questi si possono dividere in 4 gruppi: i mobili, la biancheria, gli abiti, effetti di altro genere. Tra i mobili il primo posto spettava alla βlettieraβ, cioΓ¨ lβintelaiatura in legno del letto, naturalmente con il suo βcavazzaleβ, cioΓ¨ il guanciale su cui posare il capo e il βpagiarizzoβ riempito di paglia che si usava, nella stagione clemente, come materasso; nella stagione fredda, invece, si usava il βpiumazzoβ di penna dβoca. Non mancava la cassa di βnogaraβ in cui riporre lenzuola e coperte; la credenza di βpezzoβ, una tavola e la βmesa da panβ o madia per la farina e il pane. La biancheria comprendeva sempre molti oggetti. I lenzuoli di βcanevoβ (canapa) o di stoppa (la parte grezza della canapa). Non mancava la βschiavinaβ, cioΓ¨ una coperta grossa da letto in lana. Spesso cβerano le βforeteβ cioΓ¨ le federe come pure tovaglie, tovaglioli e asciugamani. Per quanto riguarda gli abiti troviamo: le vesti che potevano essere di panno, di βrassaβ (un tipo di lana) a volte con busto e maniche e abbellite con nastri e merletti. Importanti e numerose le βcamiseβ, di lino o di seta leggera, con ornamenti vari. Molti i grembiuli e le βtraverseβ, di lino, di βfileselloβ, a volte di βrensoβ, una tela pregiata originaria di Reims in Francia. Non mancava il βguarneloβ o βcottolaβ ossia gonna di diversi tessuti. Da qui la nota espressione molto in voga nel passato βandare a guarneloβ, per indicare lβuomo che va ad abitare in casa della moglie, con quello che ne consegue. Numerosi i fazzoletti da spalle o da collo, molto spesso con ornamenti e frange. A volte anche un velo di seta. Anche nelle doti piΓΉ povere non mancava una βfilzaβ (collana) di coralli, un collo (collana) di tondini, cioΓ¨ di palline dβargento o dβoro, un anello dβoro o la βveraβ (fede). La collana poteva portare una βcrosetaβ, cioΓ¨ una piccola croce, in oro o argento. Per quanto riguarda gli oggetti di vario genere, in ambito contadino la moglie poteva portare in dote attrezzi per la cucina, come secchi di rame con relative βcazzeβ (mestoli), ceste, βbrondoβ (bronzo) per gli alimenti, anche oggetti della cantina come βvezuoliβ (botti), perfino animali, in genere pecore come si testimonia a Selva di Montebello. In conclusione la dote era lo strumento che garantiva una sia pur piccola autonomia e possibilitΓ di sopravvivenza alla donna, particolarmente nel momento della vedovanza, impedendo che cadessero nella totale indigenza quando non potevano ottenere dagli eredi del marito il rispetto dei loro diritti. E si sa che le vedove isolate e indigenti potevano essere presto sospettate di cattiva condotta o financo di stregoneria. Pertanto giustamente gli organi politici si premurarono di dare un quadro giuridico vincolante a questo fenomeno sociale che interessava tutti gli strati della popolazione. Norme che subirono modifiche poco rilevanti fino allβepoca napoleonica quando il campo del diritto venne per tanti aspetti rivoluzionato.
Felice Castegnaro (dal NΒ° 8 di AUREOS – Dicembre 2007)
Figura: La preparazione della dote (ricostruzione grafica a cura del redattore).
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